Crisso / Odoteo Barbari / L'insorgenza disordinata Introduzione Qualcuno ha notato che una delle maggiori astuzie di Marx e stata quella di aver inventato il marxismo come lingua franca. Fin dall'antichita e risaputo che I'arte della persuasione consiste nel saper determinare, parlando o scrivendo, un preciso effetto psicologico in chi legge o ascolta, ben al di la dei contenuti del ragionamento svolto. I Greci dicevano che persuadere significa «condurre a se gli animi». Molte espressioni marxia-ne - e, si potrebbe dire, lo stesso «rumore sottile» della sua prosa - hanno affascinato, terrorizzato, reso emuli migliaia di lettori. Locuzioni quali «Condizioni sociali storicamente determinate, estrazione del plusvalore, elemento oggettivamente controrivoluzionario, ...», certe tecniche giornalistiche e poi le famose inversioni del genitivo («f ilosof ia della miseria, miseria della f ilosof ia»): questo gergo ha fornito a molti aspiranti burocrati e a veri dittatori un serbatoio di frasi fatte con cui giustificare il proprio potere e a tanti socialdemocratici una cortina fumogena con cui soddisfare chi si accontenta che alia capitolazione nella pratica si accompagni la radicalita nello stile. L'importante era ed e assumere I'atteggiamento di chi sa con scientifica precisione di cosa sta parlando. Lo stesso ruolo giocano oggi, siparva licet, i testi di Antonio Negri. Due sono infatti, attualmente, le "centrali teoriche" di quello che la neolingua giornalistica ha definito movimento no-global: il collettivo di Le monde diplomatique e il nostro professore padovano, appunto. Al primo si deve I'omonimo mensile, I'organizzazione di conferenze e seminari, la pubbli- cazione di libri e la creazione del cosiddetto movimento per la 5 Tobin Tax (Attac), di cui esistono ormai diverse sezioni italiane. Al secondo, fra i fondatori prima di Potere Operaio e poi di Autonomia Operaia, si deve molto dell'ideologia operaista italiana e, oggi, la teoria di cui le Tute bianche, i Disobbedienti e tanti altri cittadini globali sono i soldatini. Si legga un qual- siasi volantino di un qualsiasi social forum e vi si troveranno, a colpo sicuro, le seguenti espressioni: societa civile, moltitudine, movimento dei movimenti, reddito di cittadinanza, dittatura del mercato, esodo, disobbedienza (civile o civica), globalizza- zione dal basso, e cosi via. Pur avendo una storia piu o meno lunga, questi concetti variamente assemblati costituiscono I'attuale bignami del recuperatore alternative e del perfetto riformista. Uno dei direttori di questa «fabbrica ontologica», uno dei tecnici di questa «macchina linguistica» e, ancora una volta, Toni Negri. Non incorreremo nell'errore banale di credere che siano certe teorie a influenzare unilateralmente i movimenti. Le teo-rie si diffondono in quanto servono determinati interessi e rispondono a determinate esigenze. Impero di Negri e Hardt e, in tal senso, un libro esemplare. Assieme alle elaborazioni dei cugini "diplomatici" francesi, le sue pagine offrono la versione piu intelligente del programma di sinistra del capitale. I gruppi che ad esse si richiamano sono la versione globalizzata della vecchia socialdemocrazia e la variante gassosa - che alia rigida gerarchia dei funzionari ha sostituito il modello della rete (o del rizoma) in cui il potere dei leader appare piu fluido - della burocrazia stalinista. Insomma, il partito comunista del terzo millennio, la pacificazione del presente, la controrivoluzione del future Costruita sul declino del movimento operaio e delle sue forme di rappresentanza, questa nuova maniera di far politica non ha piu campi privilegiati di intervento (come la fabbrica o il quartiere) e offre alle ambizioni degli aspiranti dirigenti un terreno piu immediato di quello delle vecchie segreterie di 6 partito: il rapporto coi mass media. Per questo partiti e sindacati di sinistra si pongono come suoi alleati e vanno sovente a rimor- chio delle sue iniziative, ben sapendo che, al di la dei piercing di qualche piccolo leader e di certi slogan da retorica guerrigliera, la politica disobbediente rappresenta la base (anche elettorale) del potere democratico a venire. Dello stalinismo essa mantiene intatto il ruolo, ma il suo futuro si inscrive soprattutto nella sua capacita di porsi come forza di mediazione fra le tensioni sov- versive e le esigenze dell'ordine sociale, portando i movimenti nell'alveo istituzionale e attuando un'opera di denuncia degli elementi che sfuggono al suo controllo. D'altra parte lo Stato, dopo aver progressivamente assor- bito il sociale, si e reso conto di soffocare ogni creativita sotto il fardello istituzionale; costretto a riespellerlo, ha chiamato questo scarto societa civile, abbellendolo con tutte le ideologie della classe media: umanitarismo, volontariato, ambientalismo, pacifismo, antirazzismo democratico. II consenso, nella dila- gante passivita, ha bisogno di continue iniezioni di politica. A questo servono i politici disobbedienti con i loro cittadini. Per gli orfani della classe operaia, infatti, e la figura astratta del cittadino ad avere oggi tutte le virtu. Giocando abilmente sui signif icati della parola (il cittadino e alio stesso tempo il suddito di uno Stato, il borghese, il citoyen della rivoluzione francese, il soggetto della polis, il sostenitore della democrazia diretta), questi democratici si rivolgono a tutte le classi. I cittadini della societa civile si oppongono alia passivita dei consumatori quan- to alia rivolta aperta degli sfruttati contro I'ordine costituito. Sono I'anima buona delle istituzioni statali (o pubbliche, come preferiscono dire), quelli che in una Genova qualsiasi inviteran- no sempre, per dovere civico, la polizia a «isolare i violenti». Con la complicity delle mobilitazioni democratiche dei "disob- bedienti", lo Stato puo dare cosi maggiore forza e credibility al suo ultimatum: o si dialoga con le istituzioni oppure si e 7 "terrorists da perseguire (si leggano, in tal senso, i vari accordi internazionali firmati dopo l'1 1 settembre). II «movimento dei movimenti» e un potere costituente, cioe un'eccedenza sociale rispetto al potere costituito, una forza politica istituente che si scontra e interloquisce con la politica istituita - nell'idea di Negri, la versione militante del concetto spinoziano di potenza. La strategia e quella della progressiva conquista di spazi istitu- zionali, di un consenso politico e sindacale sempre piu allargato, di una legittimita ottenuta offrendo al potere la propria forza di mediazione e la propria cauzione morale. Nel racconto negriano, il vero soggetto della storia e uno strano essere dalle mille metamorfosi (prima operaio-massa, poi operaio sociale, ora moltitudine) e dalle mille astuzie. E lui, infatti, ad avere il potere anche quando tutto parrebbe testimoniare il contrario. Tutto cio che il dominio impone e lui, in realta, ad averlo voluto e conquistato. L'apparato tecnologico incorpora il suo sapere collettivo (non la sua alie- nazione). II potere politico asseconda le sue spinte dal basso (non il suo recupero). II Diritto formalizza il suo rapporto di forza con le istituzioni (non la sua integrazione repressiva). In questa visione edificante della storia, tutto avviene secondo gli schemi del marxismo piu ortodosso. Lo sviluppo delle forze produttive - autentico fattore di progresso - entra continua- mente in contraddizione con i rapporti sociali, modificando I'assetto della societa nel senso deU'emancipazione. L'impianto e lo stesso della socialdemocrazia tedesca classica, cui si deve I'irref utabile privilegio di aver stroncato nel sangue un assalto rivoluzionario e poi gettato i proletari nelle mani del nazismo. E socialdemocratica e I'illusione di opporre al potere delle multinazionali quello delle istituzioni politiche, illusione che Negri condivide con gli statalisti di sinistra de Le monde diplo- matique. Se entrambi denunciano tanto spesso il «capitalismo selvaggio», i «paradisi fiscali», la «dittatura dei mercati», e 8 perche vogliono nuove regole politiche, un nuovo governo della globalizzazione, un altro New Deal. In questo senso va letta la proposta di un reddito universale di cittadinanza, che i negriani meno "dialettici" non hanno scrupoli a presentare apertamente come un rilancio del capitalismo. Nonostante due decenni di duri conflitti sociali, il capitali- smo e riuscito ad aggirare la minaccia rivoluzionaria, attraverso un processo giunto a compimento alia fine degli anni Settanta, con lo smantellamento dei centri produttivi e la loro diffusione sul territorio, e col completo assoggettamento della scienza al dominio. A questa conquista di ogni spazio sociale corrisponde, quale ulteriore frontiera da varcare, I'entrata del capitale nel corpo umano attraverso il dominio degli stessi processi vitali della specie: le necrotecnologie sono I'ultimo esempio del suo vagheggiamento di un mondo interamente artificiale. Ma per Negri tutto do e espressione della creativita della moltitudine. La subordinazione totale della scienza al capitale, I'investimento nei servizi, nel sapere e nella comunicazione (la nascita delle «risorse umane», secondo il linguaggio manageriale), per lui esprime il «divenir-donna» del lavoro, cioe la forza produttiva dei corpi e della sensibilita. Nell'epoca del «lavoro immateriale» i mezzi di produzione di cui la moltitudine deve assicurarsi la proprieta comune sono i cervelli. La tecnologia, in tal senso, democratizza sempre piu la societa, poiche il sapere che il capitalismo mette a profitto oltrepassa ogni ambito salariale, coincidendo di fatto con I'esistenza stessa degli esseri umani. Ecco cosa significa, allora, la rivendicazione di un reddito minimo garantito: se il capitale ci fa produrre in ogni istante, che ci paghi anche se non siamo impiegati come salariati e gli renderemo il denaro consumando. Le conclusioni di Negri e soci sono il perfetto rovesciamento delle idee di chi, gia negli anni Settanta, sosteneva che la rivo- luzione passa attraverso il corpo, che la condizione proletaria 9 e sempre piu universale e che la vita quotidiana e il luogo autentico della guerra sociale. II fine dei recuperatori e sempre 10 stesso. Negli anni Settanta, per conquistarsi un posto al sole parlavano di sabotaggio e di guerra di classe; oggi propongono la costituzione di liste civiche, I'accordo con i partiti, I'entrata nelle istituzioni. II loro gergo e le loro acrobazie linguistiche mostrano che la dialettica marxista e capace di ogni prodezza; passando da Che Guevara a Massimo Cacciari, dai contadini del Chiapas alia piccola impresa veneta, oggi giustifica la delazione come ieri teorizzava la dissociazione. D'altronde, come essi stessi riconoscono, I'importante non sono le idee ne i metodi, bensi «le parole d'ordine perentorie». Per i teorici "disobbedienti" le istituzioni politiche sono ostaggio del capitale multinazionale, semplici camere di regi- strazione di processi economici globali. In realta, dal nucleare alia cibernetica, dallo studio dei nuovi materiali all'ingegneria genetica, dall'elettronica alle telecomunicazioni, lo sviluppo della potenza tecnica - base materiale di quella che viene definita globalizzazione - e legato alia fusione dell'apparato industriale e scientifico con quello militare. Senza il settore ae- rospaziale, senza I'Alta velocita ferroviaria, senza i collegamenti attraverso i cavi a fibre ottiche, senza i porti e gli aeroporti, come potrebbe esistere un mercato globale? Aggiungiamo 11 ruolo fondamentale delle operazioni di guerra, lo scambio continuo di dati fra il sistema bancario, assicurativo, medico e poliziesco, la gestione statale delle nocivita ambientali, la sorveglianza sempre piu capillare, e si cogliera come sia mistifi- catorio parlare di declino dello Stato. Quella che sta cambiando e semplicemente una certa forma statale. A differenza di altri socialdemocratici, per Negri non e piu possibile la difesa dello Stato "sociale" nazionale, in quanto costituzione politica ormai superata. Si apre pero una prospettiva ancora piu ambiziosa: la democrazia europea. Da 10 un lato il potere si pone infatti il problema di come pacificare le tensioni sociali, stante la crisi della politica rappresentativa. Dall'altro i "disobbedienti" cercano nuove strade per rendere piu democratiche le istituzioni, rendendo piu istituzionali i movimenti. Ecco il possibile incontro: «Chi ha dunque interesse all'Europa politica unita? Chi e il soggetto europeo! Sono quelle popolazioni e quegli strati sociali che vogliono costruire una democrazia assoluta a livello di Impero. Che si propongono come contro-lmpero. [...] II nuovo soggetto europeo non rifiuta dunque la globalizzazione, anzi, costruisce I'Europa politica come luogo dal quale parlare contro la globalizzazione, nella globalizzazione, qualificandosi (a partire dallo spazio europeo) come contropotere rispetto all'egemonia capitalistica dell'lm- pero» (da Europa politica. Ragioni di una necessita, a cura di H. Friese, A. Negri, P. Wagner, 2002). Siamo giunti alia fine. Sotto una fitta cortina fumogena di slogan e di frasi ad effetto, sotto un gergo che ammicca e terrorizza, ecco ora definito un programma semplice per il ca- pitale e grandioso per la moltitudine. Cerchiamo di riassumerlo. Grazie ad un reddito garantito, i poveri possono essere flessibili nella produzione di ricchezza e nella riproduzione della vita, e rilanciare cosl I'economia; grazie alia proprieta comune dei nuovi mezzi di produzione (i cervelli), il «proletariato immate- riale» puo «cominciare attraverso I'Europa una lunga marcia zapatista della forza-lavoro intellettuale»; grazie a nuovi diritti universali di cittadinanza, il dominio puo attraversare la crisi dello Stato-nazione e includere socialmente gli sfruttati. I pa- droni non lo sanno ma, lasciati finalmente liberi di svilupparsi, i nuovi mezzi di produzione realizzeranno di fatto cio che contengono gia in potenza: il comunismo. Occorre solo fare i conti coi capitalisti ottusi, reazionari, neoliberisti (insomma, con la "cattiva" globalizzazione). Tutto cio sembra essere concepito apposta per confermare quello che Walter Benjamin consta- 11 tava oltre sessant'anni fa, qualche settimana dopo il patto di non aggressione fra Stalin e Hitler: «Non c'e nulla che abbia corrotto i lavoratori tedeschi quanto la persuasione di nuotare con la corrente. Per loro lo sviluppo tecnico era il favore della corrente con cui pensavano di nuotare». Ma le acque agitate della corrente nascondono insidie peri- colose, come avverte lo stesso Negri: «adesso ci troviamo in una costituzione imperiale nella quale monarchia ed aristocrazia lottano tra loro, ma i comizi della plebe sono assenti. Cio de- termina una situazione di squilibrio, dal momento che la forma imperiale puo esistere in maniera pacificata solo quando questi tre elementi si equilibrano tra loro» (da MicroMega, maggio 2001). Insomma, cari senatori, Roma e in pericolo. Senza "dia- lettica" fra movimenti sociali e istituzioni, i governi sono "ill e- gittimi", quindi insicuri. Come hanno dimostrato mirabilmente prima Tito Livio e poi Machiavelli, I'istituzione del tribunato della plebe serviva a controbilanciare la continua espansione imperiale romana con I'illusione della partecipazione popolare alia politica. Ma il celebre apologo di Menenio Agrippa - che apostrofava la plebe ammutinata dicendole che solo grazie ad essa Roma viveva, come un corpo vive solo grazie alle sue membra - rischia in effetti di concludersi. L'lmpero sembra aver sempre meno bisogno dei poveri che produce, lasciati a marcire a milioni nelle riserve del paradiso mercantile. D'altra parte, la plebe potrebbe farsi minacciosa, come un'orda di barbari - e scendere si dal colle verso la citta, ma con le peggiori inten- zioni. Per gli sfruttati irrequieti e irragionevoli la mediazione dei nuovi dirigenti potrebbe essere odiosa quanto il potere in carica e inefficace quanto una lezione di civismo fatta a chi ha gia i piedi sul tavolo. La polizia, anche in tuta bianca, potrebbe non bastare. 12 Aspettando i barbari Cosa aspettiamo qui riuniti al Foro? Oggi devono arrivare i barbari. Perche tanta inerzia al Senato? E i senatori perche non legiferano? Oggi arrivano i barbari. Che leggi possono fare i senatori? Venendo i barbari le faranno loro. Perche Vimperatore si e alzato di buon'ora e sta alia porta grande della citta, solenne in trono, con la corona sulla fronte? Oggi arrivano i barbari e il sovrano e in attesa della visita del loro capo; anzi, ha gia pronta la pergamena da offrire in dono dove gli conferisce nomi e titoli. Perche i nostri due Consoli e i Pretori stamane sono usciti in toga rossa ricamata? perche portano bracciali con tante ametiste e anelli con smeraldi che mandano barbagli? perche hanno in mano le rare bacchette tutte d'oro e d'argento rifinito? Oggi arrivano i barbari e queste cose ai barbari fan colpo. Perche non vengono anche i degni oratori a perorare come sempre? Oggi arrivano i barbari e i barbari disdegnano eloquenza e arringhe. Tutto a un tratto perche questa inquietudine e questa agitazione? (oh, come i visi si son fatti gravi). Perche si svuotano le vie e le piazze e tutti fanno ritorno a casa preoccupati? Perche e gia notte e i barbari non vengono. E arrivato qualcuno dai confini a dire che di barbari non ce ne sono piu. Come faremo adesso senza i barbari? Dopotutto, quella gente era una soluzione. Costantino Kavafis "II sogno della costituzione di un impero mondiale non si ritrova soltanto nella storia antica: e il risultato logico di tutte le attivita di potere, e non e limitato a nessun determinato periodo. La visione del dominio mondiale, benche sia passata attraverso le molte variazioni connesse con I'insorgere di nuove condizioni sociali, non e mai scomparsa dall'orizzonte politico..." Rudolf Rocker «La servitu a cui erano sottoposti i sudditi di Roma non tardo ad estendersi agli stessi Romani. [...] Non c'era modo di evitare la servitu, e quelli che erano chiamati cittadini erano pronti a mettersi in ginocchio ancora prima di avere un padrone. [...] A Roma non era davanti all'imperatore in quanto uomo, ma davanti all'Impero che tutti si piegavano; e la forza dell'Impero era costituita dal meccanismo di un'amministrazione molto centralizzata, perfettamente organizzata, da un numeroso esercito permanente per lo piu disciplinato, da un sistema di controllo che si estendeva ovunque. In altri termini lo Stato, non il sovrano, era la fonte del potere» Simone Weil «Una sola legge, la legge imposta da Roma, regnava sull'Impero. Questo Impero non era in nessun modo una societa di cittadini, ma soltanto una mandria di sudditi. Fino ad oggi il legislatore e I'autoritario ammirano I'unita di questo Impero, lo spirito unitario delle sue leggi, la bellezza — a loro dire — e I'armonia di questa organizzazione» Petr Kropotkin Impero Un incubo tormenta i servitori dell'Impero — l'in- cubo del suo possibile crollo. Tutti i cortigiani sparsi per il mondo, personaggi politici e gene- rali, amministratori delegati e pubblicitari, gior- nalisti ed intellettuali, vanno interrogandosi su come scongiurare questa spaventosa minaccia. L'Impero e presente dappertutto, ma non governa da nessuna parte. La sua invincibilita militare luccica al sole, abbacinando i suoi ossequiosi ammiratori. Ma le sue fondamenta sono marce. L'ordine sociale dentro i suoi confini viene continuamente messo in discussione. Nel 1989 l'abbattimento del muro di Berlino venne presenta- to come l'atto simbolico che avrebbe sancito la fine della "guerra fredda" fra le due superpotenze contrapposte, l'alba di una nuova era di pace e di stabilita. Lunifica- zione del pianeta sotto un unico modello di vita, quello capitalistico privato, doveva garantire la definitiva messa al bando di ogni conflittualita. In un certo senso, si puo dire che e accaduto esattamente l'opposto. Nella storia moderna non si erano mai visti cosi tanti conflitti bellici insanguinare il mondo come dopo il 1989. Se fino ad allo- ra i vari eserciti erano in uno stato di allarme permanen- te, oggi sono in continua mobilitazione. Le forze militari 15 non trascorrono piu il loro tempo ad addestrarsi, ma a combattere sul campo. La guerra da fredda e diventata calda, in alcuni posti bollente, e si sta generalizzando. Solo che adesso il massacro dettato dalla ragione di Stato non viene piu chiamato guerra, bensi operazione dipolizia. Essendosi esteso dappertutto, l'lmpero non ha piu nemici esterni da cui difendersi, solo nemici interni da controllare e reprimere. Non esiste piu un fuori, come amano ricordare i servitori dell'Impero, esiste solo un dentro. Ma questo dentro sta letteralmente implodendo. Per farsi spazio, l'lmpero ha spazzato via il vecchio modello dello Stato-nazione. Ma come si fa a convincere intere popolazioni finora tenute assieme e rese mansue- te dal vischio dell'identita popolare che — ad esempio — non esistono piu serbi e kosovari, o israeliani e pale- stinesi, ma solo sudditi resi simili dall'obbedienza ad un unico sistemasociale? Cosi, nel momento del suo trionfo, l'lmpero accende e rinnova feroci guerre civili. Per consolidarsi, l'lmpero ha fuso il potere politico e quello economico, il potere scientifico e quello militare in un unico apparato. Ma come puo fare a meno dell'azione politicaspecificaindispensabile per mantenere il proprio equilibrio — la mediazione che e innanzi tutto mode- razione — senza lanciarsi a briglie sciolte nella ricerca sfrenata del massimo profitto? Cosi, nel momento del suo trionfo, l'lmpero scatena forti tensioni sociali. Per radicarsi, l'lmpero ha imposto in ogni dove la religione del denaro. Ma come e pensabile che la trascen- denza di tradizioni e riti millenari, dopo aver impregnato a fondo ogni ambito della vita sociale e dato un senso all'esistenza di milioni di devoti, possa lasciare il posto all'immanenza della merce senza sollevare ribellioni? Lo 16 stesso libro sacro del cristianesimo, la Bibbia, ricorda la furia di Cristo davanti alia presenza dei mercanti nel tempio ed il loro violento allontanamento: «Sta scritto: La casa mia sara chiamata casa di preghiera, ma voi ne avete fatta una spelonca di ladri» (Mt 21,13). Cosi, nel momento del suo trionfo, l'lmpero eccita fondamenta- lismi religiosi. Ci troviamo di fronte ad una situazione paradossale. Da un lato il regno del capitale e riuscito a conquistare un dominio assoluto, ad unire Occidente ed Oriente sotto un'unica bandiera, ad annullare ogni visione dell'esisten- za umana che non sia fondata sulle leggi dell'economia; ma dall'altro lato, con tutto il potere acquisito, coi suoi pretoriani sparsi in ogni angolo a protezione degli incas- si, il capitalismo sta dimostrando di non essere in grado di controllare nulla. L'lmpero e temuto, ma non e amato. E subito, non scelto. Possiede la forza, non il consenso. Se vuole allontanare il piu possibile la minaccia di un crollo, ha un'unica strada da percorrere: farsi accettare non attraverso l'imposizione ma attraverso l'adesione, venire riconosciuto come giusto, necessario, inevitabile. Ma come puo l'lmpero — sinonimo di un ordinamento sociale basato sul sopruso e l'arroganza, causa di crudel- ta e sofferenza — riuscire a farsi amare dai suoi sudditi? II controllo lo si impone con le armi. II consenso lo si ottie- ne con le lusinghe. Se l'lmpero vuole insinuare le proprie ragioni fra i propri sudditi al fine di farle accettare ed apprezzare, deve giocare d'astuzia ricorrendo all'ausilio di emissari. Fra questi i piu scaltri non sono di certo co- loro che brillano solo nell'arte dell'adulazione, giacche verrebbero immediatamente smascherati per quel che sono — servi fra i servi. No, un compito talmente com- 17 plesso e delicato puo essere portato a termine solo da chi sa mettere in mostra i limiti dell'ordine imperiale. Le osservazioni pungenti sul conto dell'Impero affascinano sempre i sudditi riottosi che, coinvolti da questi emis- sari in una complicity fittizia, non si awedono di come lo scopo della critica dell'imperfezione sia funzionale al raggiungimento della perfezione, trasformando l'lmpero da qualcosa di cui sbarazzarsi in qualcosa da correggere ma di cui non poter fare a meno. A dimostrazione dell'urgenza con cui devono venire eseguiti i lavori di ristrutturazione e di ampliamento deU'edificio imperiale, i suoi emissari si stanno facendo sempre piu numerosi. Due di loro, Michael Hardt ed An- tonio Negri, hanno da poco pubblicato un libro che sta riscuotendo un discreto successo. Sfoggiando il proprio gergo universitario per assoggettare l'ignoranza dei sudditi, la solita stantia e spuntata arma intimidatoria del terrorismo intellettuale in cerca di approvazione, questi due cattedratici mettono il dito sulle tante pia- ghe purulente dell'Impero cercando al tempo stesso di spiegare ai propri lettori perche non sipossa proprio fare a meno di accettarlo. II titolo di questo capolavoro del dissenso filoimperiale e un omaggio al proprio adorato genitore: Impero. A MALINCUORE Come si puo fare accettare una condizione di sposses- samento, di alienazione, di sfruttamento, senzasuscitare qualche moto di rabbia e ribellione? La risposta e solo apparentemente impossibile. Basta introiettare in chi la subisce la persuasione che cio che sta vivendo e inelut- tabile, governato da una tragica quanto fatale necessita. 18 L'introiezione dei valori dominanti costituisce infatti la base della riproduzione sociale. Etienne De La Boetie, nel suo immortale Discorso sulla servitu volontaria, fa notare come la supina accettazione dei molti al potere dei pochi vada fatta risalire al coutume, il cui significato oscilla fra quello di consuetudine storico-tradizionale e quello di abitudine psicologica: esso sta ad indicare un processo di adattamento alia forma di societa in cui l'uomo si trova inserito e che finisce per determinarlo in gran parte dei suoi comportamenti. La ragione principale per cui gli uomini accettano di sottomettersi al potere e perche nascono servi e sono allevati come tali. «E pur vero — sostiene La Boetie — che all'inizio l'uomo serve a malincuore, costretto da forza maggiore; ma quelli che vengono dopo, non avendo mai visto la liberta e non sapendo neppure cosa sia, servono senza alcun rincrescimento e fanno volentieri cio che i loro padri hanno fatto per forza. E cosi gli uomini che nascono con il giogo sul collo, nutriti e allevati nella servitu, senza sollevare lo sguardo un poco in avanti si accontentano di vivere come sono nati, e non riuscendo a immaginare altri beni e altri diritti da quelli che si sono trovati dinnanzi prendono per naturale la condizione in cui sono nati». Cio significa che possiamo diventare consapevoli della mancanza di liberta solo avendo avu- to modo di sperimentarla o di conoscerla. L'esperienza della prigionia rappresenta un dramma solo se siamo in grado di paragonarla con quella della liberta, per quanto vigilata e condizionata essa sia, a cui siamo stati strappa- ti al momento della cattura. Dalla profonda differenza che intercorre fra queste due esperienze vissute scaturisce il nostro desiderio di evasione, di rivolta. Mase fossimo 19 nati e cresciuti in un carcere, se le mura di una prigione costituissero tutto il nostro orizzonte, riempissero tutti i nostri sogni, ritmassero tutte le nostre azioni, come potremmo desiderare una liberta mai conosciuta? Essen- do la detenzione la nostra unica ed abituale condizione di vita, forse la considereremmo naturale, finendo per accettarla di buon grado. O anche per pensare, come denunciava Orwell, che la liberta e la schiavitu. L'Impero, come ogni altra forma di dominio, fonda la propria continuity sulla pretesa naturalita del potere che esercita. La critica dell'Impero in quanto tale, nella sua totalita e non nei suoi singoli aspetti, viene fatta apparire come una forma di follia o di aberrazione. Ma questa oggettivazione del dominio necessita di ulteriori sostegni, piu solidi e convincenti, oltre a quello della consuetudine. Come ricorda lo stesso La Boetie, «non c'e erede tanto spensierato e incurante che qualche volta non dia un'occhiata ai registri di famiglia per vedere se gode di tutti i diritti di successione o se invece non sia awenuta qualche macchinazione contro di lui o contro i suoi predecessori». La consuetudine da sola non basta. Qualcuno potrebbe finire con l'annoiarsi ed abbandona- re questo meccanismo psicologico individuate. Bisogna percio truccare i «registri di famiglia» con un meccanismo storico collettivo, in maniera che la loro lettura decreti un risultato univoco e definitivo per tutti. Ma come? E facile comprendere che una censura totale dei nostri diritti, una nostra esclusione dai registri ad esclusivo profitto di chi detiene il potere, risulterebbe quanto meno sospetta e potrebbe provocare una furibonda rea- zione: e noi chi siamo? se non ci date niente, ci prendere- mo tutto! Piu intelligente e invece includerci nel lascito, 20 integrarci attribuendoci la responsabilita per quanto accade, lusingarci con la richiesta di partecipazione alle vicissitudini della famiglia, in modo tale da farci perce- pire la realta che ci circonda non come qualcosa che ci sovrasta, che dobbiamo subire, ma come un prodotto da noi risolutamente voluto e a cui abbiamo concorso direttamente con la nostra attivita, e che di conseguenza ci appartiene. Se «quando lo Stato si prepara ad assas- sinare si fa chiamare patria», come diceva Diirrenmatt, e perche vuole che i suoi "cittadini" combattano pen- sando di farlo per se stessi, senza accorgersi di morire «per le camere blindate delle banche» (Anatole France). Alio stesso modo il motivo per cui quando il padrone si prepara a guadagnare si fa chiamare azienda e perche vuole che i propri "dipendenti" lavorino pensando di farlo per se stessi, senza accorgersi di essere sfruttati a suo esclusivo beneficio. L'obbedienza diventa assoluta, messa al riparo da ogni dubbio, quando non viene piu vissuta come coercizione o tara ereditaria ma come espressione di una volonta sociale. A questo proposito, i due emissari dell'Impero si mo- strano oltremodo schivi nell'affermare che «flirtando con Hegel, si potrebbe dire che la costruzione dell'Impero e buona in se, ma non per se». In realta il loro rapporto con il padre della dialettica non e mera civetteria, e un'autentica storia d'amore. La loro analisi dell'Impero viene condotta in conformita con la dialettica hegeliana. Non e un caso. Hegel era persuaso che la propria filosofia rappresentasse lo spirito del tempo in cui era sorta. Da questo convincimento si sentiva spinto ad attribuirle il compito di dimostrare, grazie alia propria superiority sulle filosofie del passato, che la societa in cui scaturiva 21 (cioe la realta storica dello Stato prussiano) costituiva l'apice di tutte le civilta anteriori. Si tratta, a ben vedere, della stessa ambizione che anima i due emissari contem- poranei nei riguardi dell'Impero. Una peculiarity di Hegel, quella per cui dovrebbe essere ricordato con riconoscenza dai piu accorti fun- zionari del dominio, consiste nella sua comprensione che l'unita — a cui aspira qualsiasi forma di potere — ri- sulterebbe invincibile se, anziche venire fondata sulla esclusione della molteplicita — cioe dell'opposizione — , trovasse la propria realizzazione neH'assimilazione di quest'ultima. In altre parole, per Hegel l'unita con- creta si puo raggiungere conciliando le differenze, non sterminandole. E solamente attraverso le differenze dei molteplici e attraverso i loro conflitti che si puo arrivare ad un'unita concreta duratura. Per Hegel, quindi, l'unita scaturisce proprio dalla lotta continua fra i molteplici che la compongono. La sua menzogna e manifesta: se questa unita non sopprime il molteplice, essa non lo realizza neppure giacche si limita ad addomesticarlo per metterlo al servizio della tesi iniziale. E questo il senso della dialettica a cui Hegel affida il compito di svelare i processi piu intimi della realta. Nel processo dialettico hegeliano, l'affermazione di un concetto costituisce la tesi; la sua negazione costituisce l'antitesi. Dal conflitto tra tesi e antitesi nascera la sintesi, che accoglie tesi e antitesi in una unita superiore in cui entrambe vengono conservate come momenti diversi. Ma la sintesi rap- presenta in un certo qual modo un ritorno alia tesi, pur trattandosi di un ritorno arricchito di tutto cid che e stato apportato dall'antitesi. Risulta chiaro che la pura esi- stenza di due opposti non basta a generare un rapporto 22 dialettico. A tale fine occorre qualcosa di piu: occorre che i due opposti vengano mediati fra loro. Mediare due opposti significa sottrarne l'irriducibilita, collegarli l'uno all'altro, creare tra loro un ponte comunicativo. Significa pacificarli attraverso la conciliazione, ma a vantaggio di un'unica parte — quella iniziale del piu forte. Secondo Hegel la dialettica non era solamente «la natura stessa del pensiero». Sostenendo l'identita di razionale e reale, egli interpretava la dialettica anche come la legge della realta. Tutta la realta si muoverebbe dialetticamente, seguendo un meccanismo oggettivo. In tal modo cid che e costituisce al tempo stesso cid che deve essere, cioe si auto-giustifica in tutte le sue manife- stazioni che pertanto sono «necessarie», nel senso di non poter essere diverse da quello che sono. Contrapporre alia realta di cio che e qualcosa d'altro significa, per Hegel, abbandonare la ragione a favore dell'interesse o dell'arbitrio individuale, cosa del tutto dissennata poiche a suo awiso solo il razionale e reale. Sotto gli ingranaggi di questo meccanismo determinista, la storia diventa la realizzazione di un piano prowidenziale e lo Stato niente meno che l'incarnazione dello Spirito del mondo — una sorta di realizzazione di Dio nel mondo. Cio che Hegel, da bravo suddito dello Stato prussiano, non prese mai in considerazione e la possibility concreta di una opposizione del tutto autonoma, sovrana, irridu- cibile — di una molteplicita che non si lascia arruolare in alcuna sintesi. Bisogna ammettere che Hegel fu un ottimo emissario dell'Impero. II suo riconoscimento del ruolo svolto dal- l'opposizione nella produzione della realta lo rendeva simpatico a sinistra. La sua sintesi che mediava gli 23 opposti a profitto della tesi iniziale, cioe dell'esistente, lo rendeva simpatico a destra. Questo allegro borghese insegnava all'universita di Berlino per graziosa conces- sione del re, non mancando di festeggiare ogni anno con una bottiglia di vino l'anniversario della caduta della Bastiglia. Resta il fatto che la dinamica interna della dialettica come da lui concepita e inseparable dal proposito ideologico di giustificazione dello status quo — basta pensare all'ironica osservazione di Bataille secondo cui «non e la poesia romantica, ma il "servizio militare obbligatorio" che parve [ad Hegel] garantire il ritorno a quella vita comune, senza la quale non vi era, a suo awiso, sapere possibile». II superamento hegelia- no non e altro che un movimento di conservazione, di convalida, di ratifica del passato. In poche parole, Hegel e stato un importante filosofo del recupero: il potere diventa piu forte se, anziche chiudersi nel proprio ca- stello e mettere a morte i dissidenti — cieca intolleranza capace solo di fomentare l'odio sociale — , ne accoglie le idee innovative e le mette anche parzialmente in atto, dopo opportuna sterilizzazione, al fine di rafforzare la propria legittimita. Hardt e Negri sono scrupolosi discepoli di Hegel, come vedremo. Ma la loro analisi trae ispirazione anche da altri pensatori, alcuni dei quali passati alia storia come sowersivi, sebbene nella loro opera sia palese lo sforzo di giustificare la necessita e dell'autorita e dell'ordine da essa imposto. II piu celebre allievo di Hegel, quel Marx cosi persuaso che «la borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria», e un altro punto di riferimento costante per i due emissari dell'Im- pero, specialmente nell'elaborazione delle prospettive 24 politiche. Infatti Marx, interpretando tutta la storia dell'umanita alia luce del meccanismo filosofico deter- minista hegeliano, sosteneva apertamente la progressiva crescita del capitalismo come unica via per arrivare al comunismo: «lo sviluppo della grande industria toglie dunque da sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce i prodotti e se ne appropria. Essa produce anzitutto i propri becchini. II suo tramonto e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili». Per Marx e per il suo compare Engels, la rivoluzione non costituiva la negazione della civilta del capitale, un punto di rottura nella sua mortale progressione, bensi il suo felice esito finale. Nella certezza che il trionfo della borghesia avrebbe provocato automaticamente il trionfo del proletariato, egli finiva col sostenere lo sviluppo del capitalismo e col battersi contro coloro che vi si oppo- nevano. Questa sorta di fatalismo mascherato lo aveva portato ad assumere posizioni alquanto reazionarie come, ad esempio, auspicare la vittoria della Prussia in guerra con la Francia, nella convinzione che la fonda- zione deH'impero tedesco da parte di Bismarck avrebbe determinato la centralizzazione economica e politica della Germania, fattore che a suo awiso avrebbe costi- tuito la condizione iniziale per l'awento del socialismo. Inoltre questa sua idea della trasformazione sociale come compimento anziche come frattura, lo spingeva a propu- gnare la necessita di modellare mezzi e fini della lotta proletaria su quelli del proprio awersario, teorizzando che gli operai avrebbero dovuto organizzarsi in partito politico per conquistare il potere dello Stato. Da questo punto di vista, l'analisi dei due emissari e rigorosamente marxista. E, data la natura della loro mis- 25 sione, essi non potevano certo fare a meno dei preziosi suggerimenti del consigliere del Principe, quel «demo- cratico Machiavelli» considerato il padre della politica moderna, vale a dire della Ragione di Stato, esperto nell'ingannare il popolo e nel tenerlo alia catena, di cui tessono le lodi omettendo di ricordare la sua massima secondo cui «nessuna cosa essere piu vana e insolente della moltitudine». Anche un teologo in odore di eresia come Spinoza torna loro utile, sia per le sue riflessioni filosofiche sul concetto di potenza, sia per quelle teologi- co- politiche sul rapporto fra democrazia e moltitudine. II quadro di famiglia si conclude con i filosofi conosciuti come post-strutturalisti, quei pensatori francesi che per difendere la societa dal sowertimento causato dalla morte di Dio — che nel maggio '68 ha avuto modo di concretizzarsi nel loro paese nelle vesti del piu grande sciopero selvaggio della storia — hanno annunciato in ogni ambito la morte dell'uomo, al fine di diffondere la rassegnazione facendo dell'individuo un mero grumo delle pratiche e dei dispositivi sociali, politici, tecno- logici e linguistici. In particolare, forte e l'influsso delle «macchine desideranti» di Deleuze e Guattari. Sorprende nei due emissari una certa involontaria sincerita circa la reale natura della propria missione quando, a proposito di una possibile trasformazione sociale, invitano ad abbandonare la vecchia metafora della talpa rivoluzionaria in favore del serpente. Essi infatti spiegano di nutrire il sospetto «che la vecchia talpa di Marx sia morta. Ci pare infatti che nel passaggio contemporaneo all'Impero, i cunicoli strutturati dalla talpa siano stati sostituiti dalle infinite ondulazioni del serpente». La talpa ha fatto il suo tempo. La sua estinzio- 26 ne, nell'ambito della zoologia politica, sarebbe causata dalla sua cecita che la rende immune al calcolo. Eppure se questo animale ispira simpatia e proprio perche inca- pace di intrighi. Armata solo di testardaggine e guidata dall'intuito, la talpa scava in continuazione, senza mai perdersi d'animo, nella speranza di sbucare nel posto giusto. II serpente, e tutt'altra bestia. Non scava, ma striscia. Avanza con «ondulazioni», da destra a sinistra e da sinistra a destra (immagine deH'opportunismo). Inoltre, fin dai tempi di Adamo ed Eva, e noto per la sua lingua biforcuta (simbolo della menzogna). Rappresenta quindi al meglio la natura bifida dei due emissari e dei loro padri putativi, prodighi di pacche sulle spalle e di larghi sorrisi per i sudditi nella misura in cui questi intendono rimanere tali. Andate a lavorare! Lo scopo dei due emissari e quello di convincere i sudditi — che definiscono «moltitudine», termine neu- tro di genere quantitativo ripreso da alcuni studiosi del passato, utile per evitare l'imbarazzo di usare una definizione qualitativa di parte — che, se e vero che l'lmpero presenta molti difetti, e altresi vero che la sua esistenza e frutto di una esigenza giusta e inevitabile. Che se l'lmpero e l'Uno che rappresenta i Molti e solo perche li esprime in una esatta somma aritmetica, non perche li annulla al proprio interno. Che il suo operato non e qualcosa che le moltitudini subiscono, ma che esse stesse hanno intenzionalmente o meno determinate In una parola, che il volere dell'Impero non si contrappone affatto ai desideri della moltitudine ma che viceversa ne e espressione e realizzazione, seppur manchevole 27 — motivo per cui non c'e ragione alcuna per volerne la distruzione. Proprio cosi! Ma consideriamo il modo in cui i due emissari liqui- dano la critica di Etienne De La Boetie. Essi sono con- sapevoli che «quando il principale vi saluta sulla soglia del negozio o il preside nel corridoio del liceo, li si forma una soggettivita. Le pratiche materiali con cui il soggetto ha a che fare nel contesto dell'istituzione (che si tratti di inginocchiarsi per pregare o di cambiare centinaia di pannolini) sono altrettanti processi di produzione della soggettivita», e che pertanto «le istituzioni della societa moderna dovrebbero essere considerate come un arcipelago di fabbriche della soggettivita». Ma nelle azioni quotidiane, nella loro ripetizione seriale, nella mortale abitudine che ci accompagna dalla nascita fino alia morte, giorno dopo giorno, senza regalarci un attimo di autonomia, i due emissari non denunciano affatto il processo di riproduzione dell'esistente nella sua divi- sione sociale, cio che distrugge l'unicita dell'individuo, bensi salutano cio che costruisce la sua soggettivita. Straordinaria forza mistificatrice delle parole! L'equivoco viene creato mediante l'utilizzo del concetto di «sogget- tivita», owiamente preferito a quello di «individualita». In se le osservazioni dei due emissari sono esatte ma il senso che se ne ricava e totalmente distorto, poiche i sudditi sono portati a guardare con occhi benevoli queste «fabbriche della soggettivita». In fondo, cosa c'e di male? La soggettivita non e forse «la qualita di chi e soggettivo»? E soggettivo non e forse «cid che e relativo al soggetto, cio che deriva dal modo di sentire, pensare e giudicare propri dell'individuo in quanto tale»? Un qualsiasi dizionario e in grado di attestarlo senza incer- 28 tezze, ma andiamo pure avanti fino in fondo nella sua consultazione. Che cos'e il soggetto? II soggetto e «la persona o la cosa presa in considerazione», ma e anche «chi e posto sotto, sottostante, sottomesso, sottoposto». Questi termini hanno infatti un'unica radice, derivano tutti dal latino subiectus, participio passato di subicere, owero assoggettare. Affermare che soggettivo e relativo all'individuo in quanto tale significa rendere naturale la sottomissione, trasformare un fatto storico in un fatto biologico. Dunque la soggettivita esprime la qualita di chi e sotto, sottostante, sottomesso, sottoposto. E qual e la qualita di chi e assoggettato se non quella di obbe- dire, cosa che fara tanto piu volentieri se riterra che questo rientra nella natura dell'individuo in quanto tale? Ecco come attraverso la forza persuasiva della retorica e possibile spingere i sudditi ad andare a lavorare in queste «fabbriche della soggettivita», cioe della servitu, piuttosto che dinamitarle. Naturalmente una fabbrica e piu produttiva se fra gli operai-sudditi regna la disciplina; ma c'e un problema. Troppo spesso i sudditi hanno il brutto difetto di con- siderare la disciplina una forma di addomesticamento. Motivo per cui nel corso della storia hanno cercato in tutti i modi di evitarla o di spezzarla. Perche mai, poi? si domandano i due emissari, convinti che «la disciplina non e una voce fuori campo che detta le nostre pratiche sovrastandoci, come avrebbe detto Hobbes, bensi e qualcosa di simile a una pulsione interiore, indistin- guibile dalla nostra volonta, immanente e inseparabile dalla nostra stessa soggettivita». Che la disciplina sia inseparabile dalla nostra stessa soggettivita e innegabile dato che, come abbiamo appena visto, la soggettivita 29 indica sottomissione. Ma che la stretta osservanza del- le norme padronali da parte di uno schiavo sia dovuta non tanto alia paura della frusta, quanto «a una pulsione interiore, indistinguibile dalla nostra volonta», ecco cio che i signori Hardt e Negri non possono sostenere senza confessare da quale parte della barricatasi trovano: dalla parte degli schiavisti. Tutta la loro ricostruzione storica della nascita e dello sviluppo dell'Impero va in questa stessa direzione. Lo schiavo desidera la propria catena e se la costruisce. I sudditi desiderano l'lmpero e se lo sono costruito. La sua costituzione e ineluttabile perche esprime, contemporaneamente, il risultato biologico della natura umana ed il risultato dialettico della storia dell'umanita. La preoccupazione di legittimare il determinismo imperiale si manifesta anche nel noioso linguaggio meccanicistico impiegato dai due emissari, persuasi fino in fondo che l'essere umano debba scomparire dietro l'ingranaggio, che l'autonomia debba lasciare posto all'automatismo e la fantasia capitolare davanti al funzionamento. Che cos'e l'lmpero? «LImpero appa- re, cosi, come una vera e propria macchina high tech» oppure, per essere piu chiari, «l'Impero e la fabbrica ontologica». Che cosa sono i sudditi, la «moltitudine»? «La moltitudine non usa solo le macchine per produrre, ma essa stessa diviene, contemporaneamente, sempre piu macchinica. Nello stesso modo, i mezzi di produzione sono sempre piu integrati nelle menti e nei corpi della moltitudine». Che cos'e il desiderio? II desiderio viene definito un «motore ontologico». Che cos'e il linguaggio? Immancabile arriva la risposta: «per linguaggio occorre intendere macchine intelligenti continuamente rinnovate 30 dagli affetti e dal le passioni». Questi non sono che pochi esempi del linguaggio tecnicistico — e in quanto tale al di sopra delle parti — di cui e infarcito questo testo. Ma presentare l'evoluzione della civilta come il mec- canismo di una megamacchina non e sufficiente. Cosi dicendo si giustifica la rassegnazione al cospetto del- l'inquinamento sociale prodotto, ma non si neutralizza la rabbia per essere diventati semplici ingranaggi. I due emissari devono allora compiere uno sforzo in piu. Devo- no fare comprendere ai sudditi che «in realta, siamo noi i padroni del mondo, noi che lo generiamo continuamente con il nostro desiderio e con il nostro lavoro», e che di conseguenza abbiamo ben poco da lamentarci. Noi, i padroni del mondo? Il rovescio della medaglia Nella nostra ineffabile ignoranza, pensavamo che l'ambizione di ogni potere fosse quella di consolidarsi ed espandersi al punto da assumere una vera e propria connotazione imperiale, la cui realizzazione finale dipen- de comunque dai rapporti di forza esistenti. E natural- mente solo sapendo generare l'onda d'urto necessaria per sbaragliare i propri awersari e possibile raggiungere un simile obiettivo. Viceversa i due emissari dichiarano che «la moltitudine ha evocato la nascita dell'Impero» giacche «la lotta di classe, determinando l'abolizione dello Stato-nazione e superandone i confini, pone all'or- dine del giorno la costituzione dell'Impero come punto di riferimento dell'analisi e del conflitto». Pensavamo che il lavoro fosse sinonimo di attivita umana solo all'interno della societa capitalista, un po' come gli animali in cattivita sono sinonimo di natura 31 solo all'interno di uno zoo. Equazione decisamente ripugnante tranne per chi pensa che «il lavoro rende liberi», come annunciavano i nazisti all'entratadei campi di concentramento, oppure per chi ritiene che le sbarre di una gabbia servono per proteggere gli animali dai pericoli esterni. Viceversa i due emissari non esitano a sostenere che «il lavoro e il veicolo del possibile... il la- voro si mostra oggi come attivita sociale generate, come un eccesso produttivo nei confronti dell'ordine esistente e delle leggi della sua riproduzione. L'eccesso produttivo e il risultato immediato di una forza collettiva di emanci- pazione...», motivo per cui «la nuova fenomenologia del lavoro della moltitudine mostra che il lavoro e l'attivita creativa fondamentale la quale, con la cooperazione, supera qualsiasi ostacolo che le viene imposto e, con cio, ricrea continuamente il mondo». Pensavamo che l'identificazione della vita umana con la produzione di merci fosse una delle piu insulse men- zogne della Propaganda, inetta a concepire qualcosa di differente dai suoi bilanci economici. E un simile inganno che ha ridotto la poesia a diventare fonte di ispirazione per la pubblicita. Viceversa i due emissari ci informano che «il desiderio di esistere e il desiderio di produrre sono la stessa cosa». Pensavamo che l'egemonia conquistata dalle grandi multinazionali sulla vita economica e politica internazio- nale, con la conseguente trasformazione del mondo in un unico immenso centro commerciale, avesse determinato l'omologazione degli stili di vita nonche la scomparsa di ogni singolarita. Come puntualizzava un noto giorna- lista statunitense, oggi Falternativa e fra Coca e Pepsi. Viceversa i due emissari awertono che «lungi dall'essere 32 unidimensionale, la ristrutturazione e l'unificazione im- poste dai potere sulla produzione esplosero irradiando innumerevoli sistemi produttivi. L'unificazione del mer- cato mondiale si attuava, paradossalmente, accentuando la diversita e la diversificazione». Pensavamo che il ricatto a cui devono sottostare i sudditi, lavorare per soprawivere o crepare di fame, fosse l'elemento che costringeva milioni di persone ad abbandonare la propria terra natale per andare in cerca di un tozzo di pane. Nessuno e tanto imbecille da confondere l'emigrazione causata dalla mancanza con lo spirito di awentura nato dall'esuberanza. Viceversa i due emissari ritengono che lo sradicamento e la mo- bility costituiscano «potenti forme della lotta di classe all'interno e contro la postmodernita imperiale», giacche «attraverso la circolazione, la moltitudine si riappropria dello spazio e si costituisce come un soggetto attivo». Pensavamo che da oltre mezzo secolo il progresso tecnologico venisse alimentato dalle ricerche condot- te nei laboratori sperimentali militari e che solo in un secondo tempo venisse sfruttato anche a scopi civili. Attraverso di esso l'lmpero e in grado di rafforzare il proprio apparato bellico, perfezionare il controllo socia- le e massimizzare i profitti economici. Viceversa i due emissari sono persuasi che solo le lotte «costringono il capitale ad adottare livelli tecnologici sempre piu avan- zati e, in tal modo, trasformano il processo lavorativo. Le lotte costringono il capitale a riformare continuamente i rapporti di produzione e a trasformare le relazioni di dominio». Pensavamo che Internet rappresentasse per l'lmpero una specie di Nuovo Mondo, da un lato l'invenzione di 33 un ennesimo universo da colonizzare e dall'altro una via per allentare le pressioni sociali interne. Navigando nel limbo elettronico, i sudditi possono assaporare una liberta virtuale in cambio dell'obbedienza reale. Viceversa i due emissari si commuovono notando che «nelle espressioni della sua potenza creativa, il lavoro immateriale sembra quindi esprimere virtualmente un comunismo spontaneo ed elementare». Pensavamo che attraverso l'informatica l'lmpero fosse riuscito ad imporre un linguaggio ridotto, basato sulle esigenze della tecnica e non sulla ricchezza del signifi- cato. Costretti a rinunciare ad incontrarsi in una piazza reale, in comunicazione diretta, sostituita da una piazza virtuale, in comunicazione mediata, i sudditi non sono piu in grado di discutere esprimendo idee od emozioni, con tutte le loro incalcolabili sfumature, ma solo di scam- biarsi freddi dati e cifre. Viceversa i due emissari sono felici di essere «partecipi della piu radicale e profonda comunanza di cui si sia mai fatto esperienza nella storia del capitalismo. II fatto e che siamo dentro a un universo produttivo creato per la comunicazione sociale, per i ser- vizi interattivi e per i linguaggi comuni. La nostra realta economica e sociale non e piu esclusivamente dominata daoggetti materiali prodotti per essere consumati, bensi e pervasa dai servizi e dalle relazioni prodotte dalla coo- perazione. Produrre significa, sempre di piu, costruire cooperazione e comunanza comunicativa». Pensavamo che le biotecnologie rappresentassero il punto culminante del trionfo del capitale sulla natura, l'irruzione della ragione economica all'interno del corpo organico. Dietro le promesse di salute e felicita eterna faceva capolino (ma ormai e entrato prepotentemente) 34 il proposito di riprogrammare geneticamente l'essere umano, di sopprimerne le differenze in favore della nor- malita dominante. Viceversa i due emissari non fanno che applaudire a questa nuova conquista dato che «I1 biopotere — un orizzonte di ibridazioni tra naturale e artificiale, bisogni e macchine, desiderio e organizza- zione collettiva dell'economico e del sociale — deve continuamente rigenerarsi per poter esistere». Quanti altri pensieri inopportuni potrebbero essere ancora espressi? Se da piu di una parte e stato fatto no- tare come Marx, nonostante le sue critiche, non potesse nascondere una certa ammirazione per l'operato della borghesia, da parte loro i due emissari mostrano tutto il loro sfrenato entusiasmo per il mondo nato dal trionfo planetario del dominio del capitale, che spacciano per il trionfo planetario della forza dei sudditi: «E possibile im- maginare l'agricolturastatunitense e i servizi industriali senza la forza lavoro dei migranti chicanos, o il petrolio dell'Arabia Saudita senza Palestinesi e Pakistani? Ma, soprattutto, che cosa ne sarebbe, in Europa, USA e Asia, dei settori piu innovativi della produzione immateriale, dal design alia moda, dall'elettronica alia scienza, senza il lavoro delle grandi masse di "clandestini" attratti dai radiosi orizzonti della ricchezza e della liberta capitalisti- ca?». Nemmeno la grandezza delle piramidi egizie costi- tuisce una valida giustificazione alle terribili sofferenze patite dagli schiavi che le hanno costruite, figuriamoci se possono esserlo il mais transgenico, i pozzi di petrolio, le sfilate di moda o i microchip! Ma ci sia concesso un ultimo sussulto. Pensavamo che nel corso della storia i sudditi, di fronte alio strapotere imperiale e all'arroganza pretoriana, avessero sempre 35 avuto ben poche alternative: obbedire o ribellarsi. Nel momento in cui obbediscono, i sudditi non fanno che riprodurre l'lmpero e garantirne la stabilita. Perche e solo nei momenti di rivolta contro l'ordine dell'Impero che possono cessare di essere tali e determinarsi come individui liberi, andando all'assalto del cielo delle loro aspirazioni. Questo i due emissari lo sanno bene, ma sanno anche che loro compito e proprio mettere la rivol- ta al servizio dell'Impero. Si tratta di mettere in pratica l'indimenticata lezione di Hegel. Sono gli stessi emissari ad ammettere che «l'Impero non fortifica i confini con l'espulsione degli altri, bensi attraendoli, come in un vortice, nel suo ordine pacifico». Quindi la dialettica insegna che la tesi e l'lmpero ed il suo immondo ordine; l'antitesi sono i sudditi, la «moltitudine», e le loro lotte; la sintesi e la conciliazione, il superamento della con- traddizione che cela in realta il ritorno alia tesi: l'ordine dell'Impero arricchito dalla creativita espressa dalle lotte dei sudditi. Uno schema che non si discosta poi molto dall'interpretazione di Marx della dialettica ser- vo-padrone, che si trova all'origine della sua concezione della lotta di classe. Cosi interpretando, il lungo processo che ha portato alia costituzione dell'esistente ha la possibility di non ve- nire piu percepito dai sudditi come addomesticamento, bensi come liberazione. Go che e — che al tempo stesso e anche cid che deve essere — non deve piu venire visto come una miseria, ma come una ricchezza. Preso atto che «la moltitudine e la reale forza produttiva del nostro mondo, mentre l'lmpero e un mero apparato di cattura che si alimenta della vitalita della moltitudine», se ne deve dedurre che «il rifiuto dello sfruttamento — la resi- 36 stenza, il sabotaggio, l'insubordinazione e la rivoluzione — e la forza motrice della realta in cui viviamo e, nello stesso tempo, la sua vivente opposizione». La conclusio- ne finale di un simile ragionamento si impone da se: «e il proletariato che inventa le forme produttive e sociali che il capitale sara costretto ad adottare in futuron. Insomma, non e l'lmpero, attraverso l'esercizio del potere, ma sono i sudditi, con le loro lotte contro il potere dell'Impero, a creare il mondo che ci circonda. Grazie al loro proce- dimento dialettico, i due emissari rovesciano la realta e cercano di far passare le sconfitte dei sudditi per vittorie in prospettiva. Cosi il paradiso si awicina. Le teste dell'aquila E pur vero che, cosi facendo, Hardt e Negri a volte inciampano in qualche significativa contraddizione. Non e sempre facile persuadere i sudditi che «l'organizzazio- ne dei sindacati dell'operaio massa, la costruzione del Welfare State e il riformismo socialdemocratico furono le risultanti dei rapporti di forza definiti dall'operaio massa e le forme della sovradeterminazione che seppe imporre alio sviluppo capitalistico». Mentre in precedenza ave- vano sostenuto che «contro il luogo comune secondo il quale, a confronto con quello europeo, il proletariato americano sarebbe inferiore a causa della debolezza dei suoi partiti e delle sue rappresentanze sindacali, dobbiamo invece riconoscere che la sua forza risiede proprio in questi motivi». Perche mai il proletariato avrebbe dovuto imporre al capitale le sue forme rappresentative se si presuppone che la sua forza sia maggiore senza di esse? Partendo dalla considerazione che il sindacato ed i partiti sono 37 stati concessi dal potere in seguito alle lotte condotte dai sudditi, i due emissari cercano di fare intendere che siano stati imposti intenzionalmente da queste stesse lotte. Malgrado l'apparenza, non si tratta affatto delta stessa cosa. Nel primo caso l'istituzione della rappresen- tanza e una vittoria del potere, un modo per vincere la combattivita dei ribelli; nel secondo e una conquista di questi ultimi, il raggiunto obiettivo delle loro battaglie. Ma se il proletariate e piu forte senza sindacati e partiti, come ammettono Hardt e Negri, allora a chi giova isti- tuirli? Evidentemente a chi li ha concessi, cioe al potere, che in questa maniera ferma la reale minaccia costituita da una ribellione senza mediazioni. II primo sindacato non apparve che dopo la seconda meta del XIX secolo. Qualsiasi idea di lotta di classe, di sowersione dell'ordine capitalista, gli era del tutto estra- nea, avendo come unico proposito quello di conciliare gli interessi dei lavoratori con quelli dei padroni. Orga- nizzando i lavoratori sul piano della lotta rivendicativa, cercando di limitare lo sfruttamento, di ottenere una ripartizione della produzione meno svantaggiosa per gli operai, il sindacato si batte per ottenere aumenti di salario, lariduzione dell'orario di lavoro, garanzie contro l'arbitrariato, eccetera. In altri termini, nel migliore dei casi il sindacato mira ad ottenere una nuova divisione dei beni, ma senza mettere in causa direttamente la natura stessa dell'ordine sociale. La sua funzione consiste nel- l'apportare dei correttivi alio sviluppo del capitalismo, la cui inesauribile sete di profitto lo rende miope nella valutazione delle possibili ricadute sociali provocate dalle sue scelte. Ecco perche la natura del sindacato e intrinsecamente riformista. Qualsiasi lotta economica 38 condotta entro i limiti della societa capitalista non per- mette al lavoratore che di rimanere tale, perpetuandone la schiavitu. La musica non cambia se si esamina la funzione del partito, la cui origine precede di pochi anni quella del sindacato, entrambi sorti nel periodo dell'affermazio- ne della classe borghese. In Inghilterra, il paese di piu antiche tradizioni parlamentari, i partiti fecero la loro comparsa con il Reform Act del 1832 il quale, allargando il suffragio, permise ai ceti industriali e commerciali del paese di partecipare assieme all'aristocrazia alia gestio- ne degli affari pubblici; ascapito di chi, e inutile dirlo. La reale funzione dei partiti appare in maniera ancora piu macroscopica in Germania, dove nacquero per la prima volta dopo i disordini sociali del 1848. Cio significa che fu la sconfitta della rivoluzione a far nascere i partiti, non la sua vittoria. Fu la paura di un nuovo possibile sollevamento delle masse a indurre lo Stato ad allentare la catena ai propri sudditi, "concedendo" l'istituzione rappresentativa. Ma, per quanto piu allungata, per quanto permetta un maggiore movimento, una catena resta una catena. Sempre la storia della Germania dimostra come il ri- formismo socialdemocratico si sia diffuso proprio per prevenire una soluzione rivoluzionaria alia questione sociale: ad ammazzare Rosa Luxemburg furono gli sgher- ri del socialdemocratico Noske, il quale, reprimendo la rivoluzione dei Consigli, apri la strada per la conquista del potere a Hitler. I due emissari partono da una constatazione che si puo definire corretta, ma ancora una volta ne ribaltano il significato. Hanno perfettamente ragione nell'affermare 39 che la realta che ci circonda, tutto il mondo in cui vivia- mo, sotto la cappa di grigio conformismo che l'awolge porta il segno indelebile delle lotte sociali. Ma cio che non dicono e che questo segno e solo in negativo. Siamo circondati dalle rovine delle nostre sconfitte, non dai monumenti alle nostre vittorie. Un esempio per tutti. E indubbio che furono i moti ri- voluzionari del 1848 a spingere il governo francese ad af- fidare all'architetto Haussmann il compito di ridisegnare l'urbanistica di Parigi, ma e altrettanto vero che i grandi boulevard che oggi vengono percorsi da folle di turisti estasiati non vennero progettati alio scopo di facilitare il «nomadismo della moltitudine», bensi gli spostamenti delle truppe e dei loro cannoni nell'eventualita di nuove sommosse da reprimere! E vero che i comportamenti illegali dei sudditi stimo- lano l'applicazione dei risultati della ricerca scientifica, ma le nostre strade si riempiono di telecamere per in- crementare il controllo sociale, non certo per esprimere la «comunanza macchinica» raggiunta dall'uomo con la tecnologia. La ribellione spinge il dominio a rimodellare costantemente il mondo, ma il risultato finale di questa ristrutturazione corrisponde sempre agli interessi di chi governa, mai di chi si ribella. Se i due emissari da un lato esaltano le lotte dei sudditi mentre dall'altro sostengono che i loro obiettivi vengono realizzati dallo stesso Impero, e perche in questo modo vogliono creare una dipendenza necessaria, un legame indissolubile fra sudditi ed Impero. Persino le metafore organiche che utilizzano sono indicative in proposito: «l'emblema dell'impero austroungarico, un'aquila a due teste, puo offrire una prima rappresentazione della 40 forma odierna dell'impero. Ma se, nell'antico emblema, le due teste guardavano entrambe verso l'esterno per esprimere la relativa autonomia e la coesistenza pacifi- ca dei rispettivi territori, nel nostro caso le due teste si rivolgerebbero l'una contro l'altra per attaccarsi». Come a dire che, se pure le aspirazioni sono diverse, il corpo e il medesimo. La struttura sociale imperiale non risponde quindi alle esigenze della sola classe dominante, ma anche di quella dominata. LImpero — con il suo eserci- to, la sua polizia, i suoi tribunali, le sue prigioni, le sue fabbriche, i suoi centri commerciali, la sua televisione, le sue autostrade... — e voluto dall'imperatore come dai sudditi. Si tratta solo di un problema di testa. Una volta introiettato questo concetto, i sudditi impareranno che 10 scopo delle loro lotte e quello di apportare delle mi- gliorie all'Impero scegliendo di seguire la testa giusta, lasciando cosi inalterato il resto del corpo. Lintera analisi di Hardt e Negri mira ad escludere ogni spazio di rivolta autonoma, diretta a distruggere anche il corpo dell'impero. Si tratta di una eventualita che i due emissari non prendono nemmeno in considerazione, pur di non evocare pericolosi fantasmi. Quando definiscono 11 territorio dell'impero un «mondo liscio» non fanno che confermare al contrario quanto annotato a suo tempo da Benjamin: «La celebrazione o apologia s'ingegna di occultare i momenti rivoluzionari nel corso della storia. Ad essa sta a cuore la fabbricazione di una continuity. Essa conferisce valore solo a quegli elementi dell'opera che sono gia entrati a far parte del suo influsso postumo. Le sfuggono i punti in cui latradizione si tronca, e quindi le asperita e gli spuntoni che offrono un appiglio a chi voglia spingersi al di la di essa». 41 Le correzioni della libertA L'Impero e giusto. L'Impero e necessario. Ma purtrop- po l'lmpero non e perfetto. Le sue immense potenzialita vengono frenate sia dalla soprawivenza di dogmi del passato da cui non riescono a staccarsi alcuni funzio- nari imperiali, sia dall'opposizione senza compromessi portata avanti da quei sudditi che con maggiore deter- minazione rifiutano di restare tali. L'eccesso o l'assenza della volonta di potere rappre- sentano entrambi degli ostacoli da rimuovere per chi ha occhi solo per un giusto equilibrio del potere: «I1 primo e costituito dall'arrogante metafisica borghese e, in particolare, dall'illusione, infinitamente propagandata, che il mercato e il regime capitalistico della produzione siano eterni e insuperabili. [...] II secondo ostacolo e costituito dalle numerose posizioni teoriche che non vedono altra alternativa alle forme attuali del comando che un cieco anarchismo e un misticismo del limite. Per questa prospettiva ideologica, le sofferenze non sono in grado di esprimersi, di divenire coscienti e di costituire una base di rivolta. Questa posizione non produce altro che cinismo e quietismo. L'illusione della naturalezza del capitalismo e il radicalismo dei limiti attualmente sono dunque perfettamente complementari. La loro compli- city si esprime nell'impotenza». E la lotta contro queste presunte e conviventi forme di impotenza, accusate niente meno che di inibire una fantomatica esperienza liberatoria del lavoro, che i due emissari propongono ai sudditi, i quali devono si lottare contro l'lmpero (cioe contro quei funzionari che lo ama- no perse), ma devono anche lottare a favore deH'Impero (cioe contro quei sudditi che lo odiano in se). 42 Per risolvere questo problema il contributo di Marx diventa fondamentale. Cosi come Marx affermava che lo sviluppo dell'industria voluto dalla borghesia avrebbe portato alia vittoria del proletariate, alio stesso modo Hardt e Negri sostengono che lo sviluppo dell'Impero portera alia vittoria della «moltitudine»: «la teleologia della moltitudine e teurgica: consiste nella possibility di usare la tecnologia e la produzione per sua gioia e per incrementare il suo potere. Per reperire i mezzi necessari alia sua costituzione come soggetto politico, la moltitu- dine non ha nessun motivo di guardare al di fuori della sua storia e della sua attuale potenza produttiva». Motivo per cui il miglior modo per combattere l'lmpero consiste, paradossalmente, nell'agevolarne la crescita. Infatti i due emissari si dicono certi del fatto che «il passaggio all'Im- pero e i suoi processi di globalizzazione offrono nuove possibility alle forze di liberazione. La globalizzazione non e certo una realta semplice e i molteplici processi con i quali la identifichiamo non sono unificati, e tanto meno univoci. II nostro compito politico non e, per cosi dire, semplicemente quello di resistere contro questi processi, bensi quello di riorganizzarli, e di orientarli verso nuove finalita. Le forze creative della moltitudine che sostengono l'lmpero sono in grado di costruire autonomamente un controlmpero, un'organizzazione politica alternativa dei flussi e degli scambi globali. Le lotte volte a contestare e sowertire l'lmpero, cosi come quelle tese a costruire una reale alternativa, si svolge- ranno sullo stesso terreno imperiale — in realta, queste nuove lotte hanno gia iniziato a emergere. Attraverso queste e altri tipi di lotte, la moltitudine sara chiamata a inventare nuove forme di democrazia e un nuovo po- 43 tere costituente che, un giorno, ci condurra, attraverso l'lmpero, fino al suo superamento». Per superare l'lmpero, bisogna dunque passarci at- traverso. Piu che resistere ai suoi processi, si tratta di riorganizzarli, possibilmente affidando tale compito alle persone giuste! La sua costituzione e un evento positivo, perche offre a tutti infinite possibilita. Pensare di agire altrimenti, di arrivare ad una rottura completa con l'uni- verso imperiale, e un'illusione frutto dell'impotenza. «La sola strategia adeguata a queste lotte e quella di un con- tropotere costituente che emerge all'interno dell'Impe- ro», martellano senza troppa fantasia i due emissari. Chi non riconosce le note di questa canzone? Essa plagia fino in fondo il lugubre ritornello del marxismo-leninismo: contropotere delle moltitudini in opposizione al potere imperiale, controlmpero in opposizione all'Impero, con- troglobalizzazione opposta alia globalizzazione. Eppure, chi puo ignorare come la folle convinzione secondo cui lo Stato borghese doveva essere combattuto e sostituito da uno Stato proletario non abbia fatto altro che portare all'insediamento di regimi totalitari particolarmente ripugnanti, dove i tribunali celebravano processi-farsa, i soldati partecipavano a plotoni di esecuzione, i poli- ziotti riempivano i gulag di dissidenti, la classe dirigente formava una grottesca burocrazia, la popolazione subiva una tremenda oppressione e miseria? Ma i due emissari non badano a simili bagattelle, fidu- ciosi nella capacita del modello imperiale di accogliere al proprio interno le differenze espresse dalla «moltitudine» senza livellarle. Basta avere la forma costituzionale giu- sta. Non e un caso se il principale rovello che li affligge e: «Cosa significa essere repubblicani oggi?». L'aspetto 44 incredibile e che indicano tale quesito come fondamen- tale e imprescindibile per chiunque intenda combattere l'lmpero. La risposta che si danno non ammette repliche: «significa, innanzi tutto, lottare contro l'lmpero costruen- do all'interno di esso, sul suo stesso terreno ibrido e modulare. Occorre aggiungere, contro tutti i moralismi, contro il risentimento e le nostalgie, che questo nuovo terreno imperiale offre enormi possibilita creative e di liberazione. La moltitudine, nella sua volonta di essere contro e nel suo desiderio di liberazione, deve spingersi dentro l'lmpero per uscirne fuori dall'altra parte». Ecco che la sola cosa da fare e attraversare l'lmpero per uscire da un'altra parte! Del resto, gli stessi Deleuze e Guattari, i cui testi sono discretamente frequentati dai nostri due emissari, so- stengono che, invece di resistere alia globalizzazione capitalistica, occorre accelerarne l'andatura. «Ma quale via rivoluzionaria? — si chiedono costoro — Ce n'e forse una? Ritirarsi dal mercato mondiale? Oppure andare in senso contrario?». Hardt e Negri rincarano la dose: «L'impero puo essere efficacemente contestato solo al suo livello di generality, spingendo i suoi processi al di la delle loro attuali limitazioni. Occorre accettare questa sfida, imparare a pensare globalmente e ad agire altret- tanto globalmente». Questa loro lungimirante aspettativa assomiglia molto da vicino a quella dei leninisti che giuravano e sper- giuravano sulla prowisorieta della dittatura esercitata dal partito e sull'imminente estinzione dello Stato (non appena fosse entrato in loro possesso, naturalmente). Bastava avere il programma comunista giusto. In realta una volta assaporato il potere, con tutti gli enormi pri- 45 vilegi connessi, nessuna classe dirigente vi rinuncera mai volontariamente. Nessuno Stato si estinguera mai di propria iniziativa, alio stesso modo nessun Impero rispettera mai ed esprimera le molteplici differenze pre- sents all'interno dei propri confini. Le potra al massimo fagocitare e triturare come un Moloc, per poi risputarle sotto forma di surrogati (un po' quello che sta facendo l'impero economico di McDonald's che, nei suoi punti vendita sparsi in giro per il mondo, accanto agli ham- burger per cui e tristemente famoso, presenta piatti tipici locali che di indigeno hanno solo il nome con cui vengono pubblicizzati). L'impero non e inclusivo, e esclusivo. Anche la storia deH'Impero per eccellenza, quello romano, e significativa in proposito. Ai territori conquistati non era concessa nessuna autonomia. Lo straniero — anche quando il suo paese era sotto il dominio romano — veniva privato di ogni diritto in Roma. Basta pensare che nel linguaggio degli antichi romani i due concetti di forestiero e ne- mico venivano indicati da un solo vocabolo: hostis. La convinzione che l'impero romano si interessasse solo dello sfruttamento economico dei popoli soggetti e che fosse guidato da idee cosmopolite nel loro trattamento e completamente errata. A mano a mano che le divisioni di pretoriani estendevano l'assoggettamento militare e politico, anche la romanizzazione dei territori occupati veniva realizzata con implacabile energia. L'impero ro- mano non era che uno Stato, uno Stato intento ad erigere una gigantesca centralizzazione di ogni energia sociale. E annullare la differenza — attraverso la repressione o l'omologazione — fa parte della logica di ogni Stato, di ogni potere, che se vuole soprawivere deve per forza 46 di cose tendere all'unificazione generate. Quale che sia l'idea che rappresenta, quale che sia la struttura sociale in cui si manifesta, quale che sia l'individuo o il gruppo di individui che lo esercita, in ogni epoca ed in ogni conte- sto sociale il potere e sempre sinonimo di sfruttamento ed oppressione. Non potendo venire esercitato da tutti gli individui indistintamente e contemporaneamente, a pari titolo ed in condizione di assoluta reciprocity, il potere e quindi forza decisionale concentrata nelle mani di alcuni, attuata e protetta dalla forza armata. Che siano pochi o molti, abili o inetti, questi alcuni finiranno per imporre la propria volonta e far prevalere i propri inte- ressi su tutti, finiranno col diventare oppressori. Questo aspetto e talmente macroscopico, riscontrabi- le in qualsiasi epoca e in qualsiasi agglomerato umano, che i due emissari si guardano bene dall'ignorarlo. Anzi, preferiscono affrontare il problema direttamente, per quanto a modo loro: «Nel processo costitutivo della sovranita sul piano di immanenza si profila un'espe- rienza della finitezza prodotta dalla natura conflittuale ed eterogenea della stessa moltitudine. II principio di sovranita sembra aver prodotto il suo limite interno. Per impedire che questi ostacoli disgreghino l'ordine e svuotino il progetto costituzionale, il potere sovrano deve esercitare un controllo. In altri termini, al momento dell'affermazione succede una negazione dialettica del potere costituente della moltitudine che ha il compito di preservare la teleologia del progetto della sovranita. Siamo forse al punto critico dell'elaborazione del prin- cipio di sovranita? La trascendenza, che e stata respinta in sede di definizione dell'origine del potere, fa dunque ritorno dalla porta di servizio dell'esercizio del potere, 47 nel momento in cui la moltitudine, rappresentata nella sua finitezza, percio stesso sembra necessitare di spe- ciali strumenti di correzione e di controllo?». Agli occhi innamorati dei due emissari l'esercizio virtuoso del potere «sembra» imbattersi in un ostacolo insormontabile: la «natura conflittuale ed eterogenea» della moltitudine. Non potendo convivere con questa liberta, che minaccia in ogni momento di distruggere la sua opera, il potere «deve» correggerla e controllar- la. Necessita inevitabile ma che «forse» contraddice la sua virginale rettitudine. Non volendo uscire da questo vicolo cieco con un atto di forza, i due emissari si vedo- no costretti a ricorrere ad un atto di fede. Con grande colpo di scena si convertono — rimasticandola — alia vecchia illusione in una Costituzione americana senza autorita, soluzione tecnico-giuridica ai «limiti intrinseci» del potere: «Benche questa conseguenza rappresenti una minaccia costante, tuttavia, dopo aver riconosciuto que- sti limiti intrinseci, il principio della sovranita americana si apre con straordinaria determinazione verso l'ester- no, come se volesse espellere dalla sua Costituzione la necessita del controllo e il momento della riflessione». Conclusione dawero stupefacente se si pensa alia sorte toccata ai nativi americani, le tribu indiane sterminate in quanto il loro stile di vita era incompatibile con quello dei giovani Stati Uniti d'America. II loro genocidio — li- quidate dai due emissari come «una squallida vicenda» — costituisce il migliore esempio della capacita di un qualsivoglia pezzo di carta di accogliere, esprimere e garantire i desideri della «moltitudine». E chiaro che l'infinita molteplicita presente nell'ani- mo umano non potra mai venire sollecitata, sviluppata 48 e protetta da alcuna forma di potere. II caso non ama vedersi cucita addosso un'uniforme. La fantasia muore non appena le viene applicato un codice. Anche tutte le premure, le cautele, le indulgenze messe adisposizione da un ipotetico contropotere maestro di tolleranza sono solo chiacchiere televisive o speculazioni universitarie. Nessuno pud piu fingere di ignorare che, nonostante le sue supposte migliori intenzioni, finirebbe anch'esso per liquidare i propri ribelli — ghigliottinandoli in piazza a Parigi, abbattendoli come pernici sui bastioni di Kronsta- dt, fucilandoli per le vie di Barcellona (o denunciandoli alia polizia per i vicoli di Genova). La dismisura non puo essere contenuta in alcuna unita di misura, per quanto generosa possa apparire o essere. E per questo motivo che l'lmpero va distrutto. Non riorganizzato, riorientato, ridefinito, rimodellato — ma annientato fin nelle fonda- menta. A modo loro, anche i due emissari devono affron- tare il momento del declino imperiale e del suo crollo. Giunti a questo punto, l'utilizzo dello stesso concetto imperiale impone di fare i conti con i responsabili della fine del piu celebre Impero della storia, quello romano. E il momento di parlare dei barbari. 49 Si rimprovera ai giovani I'uso delta violenza. Ma non ci troviamo forse in un eterno stato di violenza? Dato che siamo nati e cresciuti in un carcere, non ci accorgiamo piu di essere in gattabuia, con le mani e i piedi incatenati e un bavaglio sulla bocca. Cos'e che voi chiamate stato legale? Una legge che fa delta gran massa dei cittadini un gregge assewito, per soddisfare i bisogni innaturali di una minoranza insignificante e corrotta?» Georg Biichner «Nella Civiltd vegeto; non sono ne felice, ne libero; perche dunque dovrei desiderare che quest'ordine omicida venga conservato? Non c'e piu nulla da conservare di cid che la terra sopporta!» Ernest Cceurderoy «Non avremo demolito tutto se non distruggiamo anche le rovine» Alfred Jarry Barbari Impero ha le ore contate. Hardt e Negri non nu- Ltrono dubbi in proposito, accarezzando la cer- tezza che «Una nuova orda nomade, una nuova razza di barbari, sorgera per invadere o per evacuare l'Impero». Una volta annunciata la lieta no- vella, non rimane loro che riproporre la domanda gia formulata da Nietzsche — dove sono i barbari? Quesito fondamentale, ma a cui e impossibile fornire una rispo- sta se prima non si affronta un altro interrogativo — chi sono i barbari? A questo punto diventa necessario approfondire il concetto di barbaro, la cui definizione racchiude piu di un significato. Etimologicamente questo termine indica lo straniero proveniente da un altro paese che, non conoscendo la lingua della polis, era incapace di farsi capire e si esprimeva balbettando. Storicamente indica un individuo che si contraddistingue per la cieca violenza devastatrice, per la selvaggia rozzezza. Barbaro e colui che non parla la lingua della citta-Stato, nonche colui che si scatena con furore. A prima vista non si comprende bene come questa duplice interpretazione, in apparenza illogica, possa convivere in un unico termine. Perche mai colui che non parla la nostra lingua dovrebbe essere 51 un brutale selvaggio? Perche mai colui che ricorre alia violenza piu feroce non sarebbe in grado di esprimersi attraverso le nostre stesse parole? In realta esiste un profondo legame fra la mancanza di un linguaggio comune e la manifestazione di un in- spiegabile comportamento violento. In una convivenza una lingua comune permette alle parti di conoscersi, di conciliare le differenze, di trovare un accordo. In caso di conflitto consente agli awersari di discernere fra amici e nemici, limitando l'uso della forza. Senza questa possi- bility di intendersi non c'e spazio per la mediazione, ma solo per la violenza incontrollata. Le forze contrapposte possono scendere a patti a condizione d'essere capaci di comunicare fra loro. Nel caso in cui si combattano, la possibility di dialogare pone comunque un limite alia loro violenza, stabilendo la soglia che non va oltrepassata per non vanificare future trattative. Ma senza questo linguag- gio comune, senza la possibility concreta di conoscere qualcosa dell'altro — presupposto fondamentale per scoprire cio che puo armonizzare gli interessi dei con- tendenti — non resta che battersi fino all'ultimo sangue. Nel riconoscere i tratti barbarici che caratterizzano molte delle lotte sociali piu recenti, l'analisi dei due emissari deH'Impero lascia trapelare una certa preoccu- pazione per il loro possibile sviluppo. Dietro alle lusinghe formali appare evidente il tentativo di civilizzare i bar- bari, di educarli al linguaggio della polis-Impero al fine di scongiurarne la violenza devastatrice e, soprattutto, senza controllo. Hardt e Negri sono consapevoli che «le lotte che si svolgono nelle varie parti del mondo, incluse le proprie, sembrano scritte in un incomprensibile idio- ma straniero», e che per questo motivo sono barbare. E 52 in cio non scorgono alcun segno positivo, tutt'altro. Non potendo ammettere la potenzialita sowersiva di una simile estraneita, preferiscono denunciare che «queste lotte non solo non sono riuscite a comunicare con altri contesti, ma non sono neppure state in grado di comunicare localmente e, cosi, spesso hanno avuto una durata molto breve e limitata ai luoghi ove erano nate, bruciandosi in un lampo». L'incomunicabilita dei barbari — il famigerato «autismo» degli insorti moderni che tanti fiumi di inchiostro ha fatto versare alia canea giornalistica e sociologica — diventerebbe in ultima analisi un fenomeno pericoloso non tanto per Flmpero quanto per i barbari stessi, in quanto non permettereb- be alia loro azione una maggiore diffusione nel tempo e nello spazio. Ma sara poi questa la ragione che spinge i due emissari a sostenere la necessity di «costruire un nuovo linguaggio comune», la cui realizzazione viene definita «un importante compito politico»? O non e per- che «probabilmente, il fatto che tutte queste lotte siano incomunicabili e impedite a propagarsi orizzontalmente nella forma di un ciclo, le costringe a innalzarsi in verti- cale e a toccare immediatamente il livello globale», cosa pericolosissima poiche «piu il capitale allarga le sue reti globali di produzione e controllo, piu potente diviene ogni singolo punto della rivolta»? Detto terra terra, se le lotte non si manifestassero in modo tanto incontrollato — cioe non fossero irrecupe- rabili in quanto incomunicabili — potrebbero estendersi nel segno del quantitativo, benche meno significative qualitativamente. E qui possibile toccare con mano il reale interesse dei due emissari: meglio diffondere lotte a bassa conflittualita, le eterne miserie del rivendicazio- 53 nismo, che sostenere lotte con caratteristiche radicali, ad alta conflittualita. Insegnando ai barbari la lingua dell'Impero (quella capace di esprimersi solo attraver- so concetti quali Stato, partito, costituzione, politica, produttivita, lavoro, democrazia, e via intristendo), i due emissari li invitano si a moltiplicare le loro lotte in orizzontale, ma solo perche sanno che una volta incivilite queste risulteranno impoverite in verticale. Vogliono incrementare la quantita della lotta, consapevoli che cio awerra a scapito della sua qualita, in fedele osservanza ad una ferrea legge del capitalismo. Prendiamo gli esempi concreti avanzati da Hardt e Negri. Se l'unificazione dei mercati ha superato ogni barriera favorendo una libera circolazione delle merci, essa deve infrangere anche ogni frontiera favorendo una libera circolazione dei lavoratori. Tuttavia il «nomadismo della moltitudine» conosce un ostacolo ben preciso: varcare i confini puo pure in alcuni casi essere diven- tato piu semplice, ma una volta arrivati a destinazione cosa rispondere alia polizia che richiede i documenti? Cosi la «cittadinanza globale» viene definita «un primo elemento di un programma politico della moltitudine globale». Una volta che ognuno di noi avra i documenti di residenza, cioe sara riconosciuto come cittadino-suddito dell'Impero, «tutti dovrebbero godere degli stessi diritti di cittadinanza nel paese dove vivono e lavorano». Non bisogna inf atti dimenticare che anche per i due emissari, come per i nazisti, e il lavoro che rende liberi ed e proprio l'accesso al lavoro che esige il riconoscimento di uno statuto universale: «Nella postmodernita, questa richie- sta politica di fatto fa leva su un fondamentale principio costituzionale della modernita, che collega il diritto al la- 54 voro e che ricompensa, con la cittadinanza, il lavoratore che crea il capitale». Nelle battaglie di tutti gli irregolari e i clandestini che lavorano e che chiedono di venire legalizzati, Hardt e Negri vedono la giusta rivendicazione della ricompensa che spetta alio schiavo obbediente agli ordini del proprio padrone. La sudditanza, quando e accompagnata dall'assenso, merita la cittadinanza. Cio che manca del tutto nel loro orizzonte e la possibility che lo schiavo si ribelli agli ordini e cerchi di spezzare le catene che lo imprigionano. Fra queste catene vanno annoverati senz'altro i documenti di riconoscimento. I due emissari si guardano bene dal considerare che la liberta di movimento la si puo ottenere in due maniere, fondamentalmente contrapposte. La prima e quella da loro auspicata e che prevede documenti per tutti (magari con le impronte di tutti!). La seconda e quella da loro non contemplata e che non prevede documenti. La prima ipotesi richiede la modernizzazione della burocrazia dell'Impero, la seconda esige la sua distruzione. O ci si mette in regola davanti alia polizia, o la si fa finita con tutte le regole e con tutte le polizie. Stesso discorso per l'altro cavallo di battaglia dei due emissari, quello del salario sociale e del reddito garantito per chiunque. «Una volta che la cittadinanza e stata estesa a tutti, possiamo definire questo reddito garantito un reddito di cittadinanza dovuto a ciascuno in quanto membro della societa», propongono Hardt e Negri, nella malcelata speranza che soddisfatti da una retribuzione sociale — dovuta per il loro mero consenso, a prescindere dall'attivita svolta — i sudditi la smettano di rivoltarsi in quanto oppressi dall'Impero e si mettano a lavorare in quanto membri della societa. Contrariamente 55 a chi si ostina a pensare che il comunismo sia un mondo senza denaro, i due emissari ritengono che esso debba assumere inevitabilmente la forma di un mondo salariato — vale a dire di un mondo capitalistico. Questa loro as- soluta incapacity di immaginare l'esistenza umana al di fuori dell'orbita tracciata dalle istituzioni imperiali non e casuale: chi vuole comunicare con I'Impero deve imparare a parlare come I'Impero, chi parla come I'Impero hnisce col pensare come I'Impero. L'lNSUFFICIENZA DEL No La conversione dei barbari si gioca su tutti i piani. Non solo devono imparare la lingua deH'Impero, devono anche rinunciare alia propria violenza. Mase convincerli ad andare a scuola e relativamente facile, basta promet- tere un salto quantitativo, con quali argomentazioni si puo invitare a deporre le spade chi considera l'uso della forza una virtu? Attraverso un gioco di prestigio retorico che ruota attorno all'inossidabile mito della Resisten- za. Citando un partigiano antifascista, i due emissari ricordano che «la resistenza nasce dalla diserzione». Forti di questa verita storica, Hardt e Negri sostengono che «mentre nell'era disciplinare era il sabotaggio a rap- presentare la forma piu efficace di resistenza, nell'era del controllo imperiale potrebbe essere la diserzione. Mentre nella modernita essere contro significava, per lo piu, un'opposizione diretta e/o dialetticatra forze, nella postmodernita, l'efficacia dell'essere contro si manifesta assumendo posizioni oblique e diagonali. Le battaglie contro I'Impero possono essere vinte con la sottrazione e la defezione. La diserzione non ha luogo: e l'evacuazione dai luoghi del potere». 56 Per quanto sciorinino tutto il loro repertorio di ma- nipolatori della parola, in questo caso il trucco che usano e fin troppo scadente. La resistenza nasce dalla diserzione, ma non e diserzione. La diserzione comporta solo una non-partecipazione, una non-collaborazione ai progetti del nemico. Invece la resistenza e intervento diretto, scontro frontale con il nemico. Al massimo si puo dire che la diserzione sia stata una forma di resistenza passiva, mentre la lotta partigiana e stata una forma di resistenza attiva. Chi diventa consapevole di vivere in una situazione sociale intollerabile, in un mondo fondato sulla ricchezza dei pochi e sulla miseria dei molti, chi non vuole piu sentirsi responsabile degli orrori quotidia- namente commessi, puo smettere di fornire il proprio contributo alia continuazione dell'esistente. Ad esempio, non recandosi piu a votare oppure non acquistando le merci delle grandi multinazionali. Ma questa scelta, per quanto apprezzabile nelle intenzioni, risulta del tutto insufficiente poiche in se non e in grado di mettere in discussione concretamente l'ordinamento sociale, con- cludendosi in un atteggiamento di rifiuto alquanto limi- tato. Mette a tacere i sensi di colpa della coscienza, ma non modifica la realta circostante. Per fermare il nemico, non basta rifiutarsi di prestarvi servizio od astenersi dal frequentarlo. Occorre fare un passo in piu, occorre attaccarlo e colpirlo alio scopo di distruggerlo. Sostenendo la diserzione a scapito del sabotaggio, i due emissari non fanno altro che puntellare I'Impero. Cosi come il nazismo continuava ad occupare e ad opprimere l'ltalia, malgrado i suoi disertori, alio stesso modo I'Impero continuera ad occupare e ad opprimere l'intero pianeta, malgrado i suoi disertori. Tutta que- 57 sta retorica sulla resistenza della diserzione persegue maldestramente un unico scopo, quello di pacificare la rabbia dei sudditi offrendo loro la valvola di sfogo dell'ab- bandono e negando la necessita e l'urgenza dell'attacco diretto contro l'lmpero. Attraverso questi sotterfugi da ciarlatani, vengono invitati i barbari a prendere come esempio non la determinazione dei disertori, quella che poi li avrebbe condotti alia resistenza fattiva, bensi il loro comportamento iniziale, vale a dire ad emulare il gesto per cui diventarono famosi: quello di gettare via le armi, di rifiutare di combattere. E evidente che, una volta utilizzata la metafora impe- riale, Hardt e Negri non possano che auspicare l'awento dei «nuovi barbari». Basta solo che questi smettano di essere tali: si ad un linguaggio comprensibile, no alia violenza. Quest'ultima non serve piu: da un lato «la corru- zione imperiale e gia minata dalla produttivita dei corpi, dalla cooperazione e dai disegni della produttivita della moltitudine. II solo evento che stiamo aspettando e la costruzione — o meglio, l'insorgenza — di una potente organizzazione»; mentre dall'altro «i militanti resistono al comando dell'Impero creativamente. In altri termini, la resistenza e immediatamente collegata con un inve- stimento costitutivo nel mondo biopolitico, volto alia creazione di dispositivi cooperativi di produzione e di comunita». Per paura di essere fraintesi, i due emissari sono qui costretti a spiegarsi con una certa chiarezza: essi non auspicano affatto l'awento dell'orda barbarica, bensi di una potente organizzazione di militanti! Non gra- discono che si lotti con furore, ma che si lavori produtti- vamente! Non chiedono che si segua la passione, ma che si adempia al proprio dovere! Non vogliono che si faccia 58 strage fra i nemici, ma che si resista creativamente! Hardt e Negri apprezzano a tal punto l'lmpero, sono talmente plasmati dai suoi valori, genuflessi davanti alia sua organizzazione, obbedienti alle sue norme, assimilati alia sua tecnologia, usi al suo linguaggio, da concludere che «la militanza conosce solo un dentro, la vitale e ineluttabile partecipazione al complesso delle strutture sociali senza alcuna possibility di trascenderle». Siamo qui di fronte ad un'ennesima acrobazia dialettica. Mentre lanciano vibranti appelli ai sudditi affinche si incammi- nino sulle strade dell'esodo, nel contempo affermano piu volte che nell'Impero non esiste un altrove, un fuori rispetto a un dentro. Ma, se l'lmpero e ovunque, se non esistono piu i limes che ne delimitano il territorio, dove si trovera mai questa Terra Promessa verso cui indirizzare l'esodo della ((mol- titudine)*? Esiste su questo pianeta una zona franca, un luogo rimasto incontaminato dalla logica del profitto e del potere? Malauguratamente il mondo e Uno ed e inte- ramente sotto il dominio dell'Impero. Al suo interno non e permessa alcuna alternativa sostanziale. Tutt'al piu ci e concesso di rinunciare ad una esistenza nostra, il che equivale a spegnerci, adeguandoci al suo ordinamento — il quieto vivere della rassegnazione. Tutt'al piu ci e possibile soprawivere alia meno peggio, inserendoci in qualche suo interstizio. Ecco perche chi desidera vivere, cioe determinare da se il contenuto e la forma dei propri giorni su questa terra, non ha che una carta da giocare. Prima d'essere condizione preliminare indispensabile ad ogni sperimen- tazione di liberta reale, l'insurrezione contro l'lmpero e una questione di dignita. 59 Senza una ragione Oggi i barbari non si accampano piu alle porte della Citta. Si trovano gia al suo interno, essendovi nati. Non esistono piu le fredde terre del Nord o le brulle steppe dell'Est da cui fare partire le invasioni. Bisogna prendere atto che i barbari provengono dalle fila degli stessi suddi- ti imperiali. Come a dire che i barbari sono dappertutto. Per le orecchie abituate alFidioma della polis e facile riconoscerli perche si esprimono balbettando. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dal suono incomprensibile della loro voce, non bisogna confondere chi e senza una lingua con chi parla una lingua diversa. Molti barbari sono infatti privi di un linguaggio ricono- scibile, resi analfabeti dalla soppressione della propria coscienza individuale — conseguenza dello sterminio del significato attuato dall'Impero. Se non si sa come dire, e perche non si sa cosa dire; e viceversa. E non si sa cosa e come dire perche tutto e stato banalizzato, ridotto a mero segno, ad apparenza. Considerato una delle mag- giori sorgenti della rivolta, fonte irradiante di energia, nel corso degli ultimi decenni il significato e stato eroso da tutta una schiera di funzionari imperiali (ad esempio dalla scuola strutturalista francese tanto cara ai due emissari) che lo hanno frantumato, polverizzato, sbricio- lato in ogni ambito del sapere. Le idee che interpretano ed incitano all'azione trasformatrice sono state can- cellate e rimpiazzate dalle opinioni che commentano e inchiodano alia contemplazione conservatrice. Laddove prima c'era una giungla piena di insidie perche selvaggia e rigogliosa, e stato fatto il deserto. E cosa dire, cosa fare in mezzo al deserto? Privi di parole con cui esprimere la rabbia per le sofferenze subite, privi di speranze con 60 cui superare l'angoscia emozionale che devasta l'esi- stenza quotidiana, privi di desideri con cui contrastare la ragione istituzionale, privi di sogni a cui tendere per spazzare via la reiterazione dell'esistente, molti sudditi si imbarbariscono nei gesti. Una volta paralizzata la lingua, sono le mani a fremere per trovare sollievo alia frustrazione. Inibita nel manifestarsi, la pulsione alia gioia di vivere si capovolge nel suo contrario, nell'istinto di morte. La violenza esplode ed essendo senza significato si manifesta in maniera cieca e furiosa, contro tutto e tutti, travolgendo ogni rapporto sociale. Laddove non c'e una guerra civile in corso, ci sono i sassi lanciati dai cavalcavia oppure lo sterminio di parenti, amici o vicini. Non e una rivoluzione, non e nemmeno una rivolta, e una strage generalizzata compiuta da sudditi resi barbari dalle ferite quotidiane inflitte sulla propria pelle da un mondo senza senso perche a senso unico. Questa violen- za cupa e disperata infastidisce Flmpero, turbato nella sua presunzione di garantire la pace dei sensi, ma non lo preoccupa. In se, non fa altro che alimentare e giusti- ficare la richiesta di maggior ordine pubblico. Eppure, per quanto facilmente recuperabile una volta affiorata in superficie, essa mostra tutta l'inquietudine che agita in profondita questa societa, tutta la precarieta della presa imperiale sulle vicissitudini del mondo moderno. E tuttavia esistono anche altri barbari, di natura diver- sa. Barbari in quanto refrattari alle parole d'ordine, non certo in quanto privi di coscienza. Se il loro linguaggio risulta oscuro, noioso, balbettante e perche non coniu- ga all'infinito il Verbo imperiale. Sono tutti coloro che rifiutano deliberatamente di seguire l'itinerario istitu- zionale. Hanno altri sentieri da percorrere, altri mondi 61 da scoprire, altre esistenze da vivere. Alia virtualita — intesa come finzione — della tecnologia che nasce in sterili laboratori, oppongono la virtualita — intesa come possibility — delle aspirazioni che nascono nei battiti del cuore. Per dare forma e sostanza a queste aspirazioni, per trasformarle da virtuali in reali, devono strappare aH'Impero con la forza il tempo e lo spazio necessari alia loro realizzazione. Devono, cioe, riuscire ad arrivare ad una rottura integrale con l'lmpero. Anche questi barbari sono violenti. Ma la loro violenza non e cieca nei confronti di chi colpisce, quanto piuttosto nei confronti della ragione imperiale. Questi barbari non parlano e non capiscono la lingua della polis, ne vogliono impararla. Non sanno cosa farsene della struttura sociale dell'Impero, della costituzione americana, degli attuali mezzi di produzione, dei documenti di riconoscimento o del salario sociale a cui tanto tengono i due emissari. Non hanno nulla da chiedere ai funzionari imperiali, non hanno nulla da offrire loro. La politica del compromesso e abortita in partenza, e non per un ridicolo processo ideologico, ma per una totale inadeguatezza a questo mondo. Sanno solo che per realizzare i propri desideri, quali che siano, devono prima togliere di mezzo gli osta- coli che incontrano sul proprio cammino. Non hanno tempo di chiedersi come mai «il capitalismo e miracolo- samente ancora vivo e vegeto e la sua accumulazione e piu gagliarda che mai», come si attardano comicamente a fare i due emissari, sconcertati che la storia si rifiuti di funzionare assecondando gli oliati meccanismi di una macchina. II «mistero della longevity del capitale» non riesce ad appassionare questi barbari tanto quanto l'ur- genza della sua morte. Per questo sono pronti a mettere 62 a ferro e a fuoco le metropoli — con le loro banche, i loro centri commerciali, la loro urbanistica poliziesca — in qualsiasi momento, individualmente o collettivamente, alia luce del sole o nei buio della notte. Se non hanno un solo motivo per farlo, e perche li hanno tutti. Contrariamente ai sudditi scontenti che vorrebbero diventare sudditi contenti, a questi barbari non interessa la possibility di un altro mondo. Preferiscono battersi perche pensano che un mondo altro sia possibile. San- no che "un altro mondo" sara come "un altro giorno", la vuota e noiosa ripetizione di quello che lo ha prece- duto. Ma un mondo altro e un mondo sconosciuto tutto da fantasticare, da creare, da esplorare. Essendo nati e cresciuti sotto il giogo imperiale, senza avere mai avuto la possibility di sperimentare modi radicalmente diversi di vivere, non e possibile immaginare questo mondo altro se non in termini negativi, come un mondo senza denaro, senza legge, senza lavoro, senza tecnologia e senza tutti gli innumerevoli orrori prodotti dalla civilta capitalista. Inetti a concepire un mondo senza padroni da servire, i due emissari interpretano questa assenza come man- canza. E questa loro ridicola persuasione che l'lmpero sia il destino dell'umanita a far loro dire che «il rifiuto del lavoro e dell'autorita — e in particolare, il rifiuto della servitu volontaria — e l'inizio della liberazione politica [...]. Questo rifiuto e certamente l'inizio della liberazione politica, ma e solo l'inizio. In se stesso, il rifiuto e vuoto [...]. In termini politici, il rifiuto, in quanto tale (del la- voro, dell'autorita, e della servitu volontaria) conduce a una sorta di suicidio sociale. Come dice Spinoza, se ci limitiamo a separare la testa del tiranno dal corpo sociale ci ritroveremo tra le braccia il cadavere mutilato della 63 societa». II tiranno e la testa, la ragione che guida; i sud- diti sono i muscoli, la forza che lavora. Piu che Spinoza, i due emissari avrebbero dovuto citare i patrizi dell'antica Roma, i quali facevano notare alia plebe in procinto di ribellarsi che se i sudditi insorgono e mettono a morte il tiranno commettono un suicidio, perche non si pud vivere senza qualcuno che comanda. L'eterna menzogna che regge ogni esercizio del potere trova in Hardt e Negri due ferventi seguaci, disponibili a sostenere che il rifiuto dell'autorita e un suicidio e l'anarchismo e una forma di impotenza. In realta, come e stato fatto notare piu volte e da piu parti, e la distruzione ad aprire la porta alia creazione, il mero rifiuto non fa altro che rendere fertile il terreno alia nuova affermazio- ne. Contrariamente a quanto pensano i due emissari, il tiranno — ed ogni struttura di potere e tirannica — non e la testa del corpo sociale, bensi il parassita che ne av- velena l'organismo. Ucciderlo e un atto di liberazione. I club rivoluzionari parigini, cosi come i Consigli operai russi, non hanno risentito della decapitazione del re Luigi XVI, o della caduta dello zar Nicola II. Anzi e stata proprio la liquidazione del potere, cioe il contesto in- surrezionale che abbatte antiche abitudini e sprigiona nuove energie, a permettere la loro nascita e diffusione. Ed e stata proprio la reintroduzione del potere, in chiave giacobina o bolscevica, a determinare lo stallo e la rovina del processo di rigenerazione sociale, riportando cio che e Ignoto a cio che e Stato. Chi non parla con me e come me non ha nulla da dire. Chi non agisce con me e come me e malato di impotenza. Chi non vive con me e come me desidera suicidarsi. E questo l'insegnamento che l'lmpero semina fra i suoi ne- 64 mici per bocca dei suoi emissari. Ma i barbari sono sordi a simili puerili moniti, le loro orecchie sono sensibili solo alia voce che li chiama all'assalto dell'Impero, alia tabula rasa dell'esistente. La loro furia incute terrore persino in molti nemici dell'Impero, desiderosi si di vincerlo ma con le buone maniere. Da bravi civilizzati, costoro condivido- no il dissenso ma non l'odio; comprendono l'indignazione ma non la rabbia; lanciano slogan di protesta ma non urla di guerra; sono pronti a versare saliva ma non sangue. Anch'essi — sia chiaro — vogliono la fine dell'Impero, pero si aspettano che awenga spontaneamente, come un fenomeno naturale. Spinti dalla certezza che l'lmpero e gravemente malato, i suoi piu educati nemici si augurano che un collasso liberi al piu presto l'umanita dalla sua ingombrante presenza. D'altronde nessuno puo negare che e assai meno peri- coloso ottenere la liberta in seguito alia placida dipartita del padrone, come una sorte di eredita, piuttosto che conquistarla in battaglia. Questa indiscutibile consta- tazione li porta a sedere sulla riva del fiume, in attesa di veder passare il cadavere del loro nemico trascinato dalla corrente. Ben diversa e la natura barbara, che non conosce questa soave pazienza. I barbari infatti sono persuasi che sia vano attendere la morte dell'Impero, la quale oltre tutto potrebbe non essere cosi imminente come si augurano i suoi civili nemici. Inoltre, tutto lascia sup- porre che nel momento del suo crollo l'lmpero seppellira tutti, ma proprio tutti, sotto le sue macerie. Allora, a che pro aspettare? Non e meglio andare a cercarselo, il nemico, e fare il possibile per sbarazzarsene? Questa barbara determinazione suscita orrore. Inorriditi sono 65 i due emissari, secondo cui l'identificazione del nemico e «il problema fondamentale della filosofia politica» e in quanto tale non puo riguardare i barbari, che nella loro rozzezza sono in grado al massimo di «muoversi in tondo tracciando una serie di cerchi paradossali». Ma inorriditi sono anche i nemici perbene dell'Impero i quali, abituati a consumare i propri giorni nell'attesa di poter cominciare a vivere, scambiano l'immediatezza barbara per sete di sangue. E come potrebbe essere di- versamente? Essi sono del tutto incapaci di comprendere in favore di cosa si battono i barbari, il cui linguaggio e incomprensibile anche per le loro orecchie. Troppo infantili le loro urla, troppo gratuito il loro ardire. Di fronte ai barbari costoro si sentono impotenti come un adulto alle prese con dei bambini scatenati. In effetti per gli antichi Greci il barbaro era assai simile al bambino, mentre in russo i due concetti si esprimono con lo stes- so vocabolo (e pensiamo al latino infans, infante, che significa letteralmente non parlante). Ebbene, cio che piu viene rimproverato ai non parlanti, ai balbuzienti, e la mancanza di serieta, di ragionevolez- za, di maturita. Per i barbari, come per i bambini, la cui natura non e stata ancora o del tutto addomesticata, la liberta non comincia con l'elaborazione di un programma ideale ma col rumore inconfondibile di cocci rotti. E qui che si alzano le proteste di chi pensa, con Lenin, che l'estremismo non sia che «una malattia infantile». Con- tro la malattia senile della politica, i barbari affermano che e la liberta il bisogno piu urgente e piu terrificante della natura umana. E la liberta sfrenata dispone di tutti i prodotti del mondo, di tutti gli oggetti da trattare come giocattoli. 66 Ma i figli della dea Ragione non ammettono una tra- sformazione sociale che non si fondi suH'edificazione del Bene Pubblico, si tratti del ritorno ad un passato mitico (l'illusione primitivista) o del compimento di un futuro radioso (l'illusione messianica). Quanto ai barbari, non amano ne i sospiri di nostalgia, ne le lauree in architet- tura. Cid che e non va distrutto in nome di cid che era o di cid che sara, ma per dare finalmente vita a tutto cio che potrebbe essere, nelle sue smisurate possibility, qui ed ora. Adesso. Per farla finita E inutile cercare di insegnare a parlare a chi non ha una lingua. E inutile spaventarsi di fronte a suoni guttu- rali e a gesti inconsulti. E inutile proporre mediazioni a chi vuole l'impossibile. E inutile implorare liberta a chi impone schiavitu. Lasciamo la pedagogia ai due emissari, assieme al loro spirito poliziesco e missionario. Che i barbari si scatenino. Che affilino le spade, che brandi- scano le asce, che colpiscano senza pieta i propri nemici. Che l'odio prenda il posto della tolleranza, che il furore prenda il posto della rassegnazione, che l'oltraggio pren- da il posto del rispetto. Che le orde barbariche vadano all'assalto, autonomamente, nei modi che decideranno, e che dopo il loro passaggio non cresca piu un parlamento, un istituto di credito, un supermercato, una caserma, una fabbrica. Di fronte al cemento che prende a schiaffi il cielo e all'inquinamento che lo sporca si puo ben dire, con Dejacque, che «Non sono le tenebre questa volta che i Barbari porteranno al mondo, e la luce». La distruzione dell'Impero difficilmente potra assume- re le consuete forme della rivoluzione sociale, cosi come 67 ci e dato conoscerle dai libri di storia (la conquista del Palazzo d'Inverno, la reazione popolare a un golpe, lo sciopero generale selvaggio). Non ci sono piu nobili Idee in grado di smuovere grandi masse proletarie, non ci sono piu dolci Utopie pronte ad essere fecondate dai loro amanti, non ci sono piu radicali Teorie che aspettano solo di essere messe in pratica. Tutto cio e stato sommerso, spazzato via dalla melma imperiale. C'e solo il disgusto, la disperazione, la ripugnanza di trascinare la propria esistenza nel sangue sparso dai potere e nel fango sollevato dall'obbedienza. Eppure e in mezzo a questo stesso sangue e al fango che puo nascere la volonta — confusa in alcuni, piu nitida in altri — di farla finita una volta per sempre con Flmpero ed il suo ordine letale. «E allora, tutte le sofferenze, tutto il passato, tutti gli orrori ed i tormenti che hanno segnato il mio corpo, li gettavo al vento come se fossero di altri tempi, e mi abbandonavo allegramente a sogni di avventura vedendo con la febbre dell'immaginazione un mondo diverso da quello in cui ero vissuto, ma che desideravo; un mondo dove nessuno di noi aveva vissuto, ma che molti di noi avevano sognato. E il tempo passava volando, e le fatiche non entravano nel mio corpo, e il mio entusiasmo aumentava, e diventavo temerario e al mattino uscivo in ricognizione per scoprire il nemico, e... tutto per cambiare la vita; per imprimere un altro ritmo a questa nostra vita; perche gli uomini, ed io tra loro, possono essere fratelli; perche iallegria, almeno una volta, esplodendo nei nostri petti esplodesse sulla terra.. .» Un incontrollato della Colonna di Ferro marzo 1937, Spagna 68 INDICE Introduzione Pag. 5 Parte Prima Impero Impero 15 A malincuore 18 Andate a lavorare! 27 II rovescio della medaglia 31 Le teste dell'aquila 37 Le correzioni della liberta 42 Parte Seconda Barbari Barbari 51 Linsufficienza del No 56 Senza una ragione 60 Per farla finita 67